Esistono tantissimi nomi per riferirsi allo zafferano selvatico ma c’è ancora il pericolo di non riuscire a riconoscerlo e finire per utilizzarlo per cucinare. Magari alcuni di noi nemmeno sapevano di questa pianta che tanto assomiglia a quella da cui ricaviamo la preziosa polvere per risotti, e non solo. Ecco quindi qualche informazione in più per non farsi trovare impreparati.
Zafferano selvatico: habitat e pianta
Appartenente alla famiglia delle Iridaceae questa pianta cresce soprattutto nei prati e pascoli aridi, spontaneamente, e possiamo trovarla anche nelle praterie rase sulle colline. Arriva fino alla zona prealpina, poi non sale ulteriormente, e possiamo vederla sbucare accanto a querceti sub-mediterranei, vigne ed oliveti preferibilmente su fondo calcareo fino ad una quota massima di 1200 metri.
Possiamo trovare lo zafferano selvatico anche in Italia? La risposta è sì, in quasi tutto il territorio nazionale tranne in alcune regioni: Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Sardegna. Detto ciò non aspettatevi di incrociare piante di questo tipo appena girato l’angolo: lo zafferano selvatico è e resta una pianta poco diffusa, lo è molto di più il Crocus vernus che presto impareremo a distinguere.
Se siamo testardamente decisi a osservare dal vivo questa pianta velenosa, per giunta, possiamo andarne in cerca sul versante occidentale della penisola dalla Toscana a sud dell’Arno fino ad arrivare alla Sicilia e lungo le coste del basso adriatico (Gargano) e dello Ionio. C’è anche nella val Padana, in provincia di Brescia e Bergamo mentre è davvero raro incontrarla in Liguria e Piemonte, troppo a nord.
Il fiore dello zafferano selvatico
Il fiore che spunta da questa pianta lo fa nel periodo invernale, dal mese di dicembre, quindi quando fa davvero freddo, fino al massimo ad aprile, non va oltre. Ma iniziamo a conoscere prima di tutto la pianta che non abbiamo ancora descritto. Siamo di fronte ad una erbacea bulbosa perenne che non raggiunge mai altezze superiori ai 20 centimetri ma nemmeno si abbassa sotto i 10. Dal bulbo di solito spuntano due o tre spate guainanti, le foglie della parte superiore sono invece lineari e hanno una striscia centrale bianca, possono essere da 3 a 7 e di solito sono lunghe una ventina di centimetri ma davvero strette, un paio di millimetri.
I colori di questa pianta sono piuttosto classici, le foglie sono verde scuro mentre i fiori possono assumere sfumature che di viola chiaro con delle tinte anche dal bianco al giallastro. Spuntano in un numero che può variare da 1 a 5 se siete fortunati. Sono composte da un tubo perigoniale lungo dai 9 ai 15 centimetri con delle lacinie ellittiche che presentano all’esterno delle tinte tendenti al viola chiaro mentre all’interno sono più scure, ma con tocchi di bianco – giallastro. All’esterno delle lacinie ci sono anche 3 – 5 strie longitudinali di colore viola scuro mentre la fauce è gialla e ha dei filamenti pelosi.
Zafferano selvatico: perché è velenoso
Quello dello zafferano selvatico è un classico esempio di come possa essere davvero utile saper riconoscere le piante anche quando sembra banale farlo. Il nostro zafferano, detto anche Colchico d’autunno (Colchicum autumnale L.) spesso viene confuso con la pianta esotica da cui estraiamo lo zafferano vero e proprio, commestibile. Se non sappiamo cogliere la differenza è un bel pasticcio perché quella di cui abbiamo parlato finora è una pianta velenosa.
Avete compreso bene, la natura ci ha giocato un brutto scherzo ma con un attimo di pazienza, nel prossimo paragrafo, impareremo a non farci fregare.
Chi ha confuso il selvatico dallo zafferano selvatico si è avvelenato, dal nostro fiore infatti non si può ottenere nulla di utile per cucinare il classico risotto alla milanese e purtroppo c’è ancora qualcuno che si confonde. Il colchico è una pianta velenosa perché contiene la colchicina, un alcaloide altamente tossico in grado di bloccare la divisione cellulare.
Come riconoscere lo zafferano selvatico
E’ arrivato il momento di imparare come distinguere i due “zafferani”. Il motivo per cui ci si confonde è soprattutto il colore dei fiori perché quelli di entrambi di sfumature del rosa violaceo e hanno delle forme simili. Simili ma non uguali agli occhi di un buon osservatore.
Il fiore dello zafferano presenta tre stami, mentre il colchico autunnale ne può avere anche di più, inoltre c’è anche un tema stagionale perché i due fiori spuntano in periodi diversi, e anche geografico perché in Italia e in generale in Europa è davvero difficile trovare lo zafferano vero che è una specie originaria dell’Asia minore e da noi è presente solo perché coltivato.
Per complicare le cose dobbiamo tener conto anche della presenza di altre due specie simili, il Crocus weldeni Backer (Zafferano di Welden) e il Crocus reticulatis Steven (Zafferano triestino). Il primo è diffuso nella zona del Carso vicino a trieste, è privo di chiazze gialle alla base dei tepali e produce fiori più piccoli. Lo Zafferano triestino è sempre nella stessa zona, ma anche in Abruzzo e in Lazio e ha sempre a fiore singolo, foglie non superanti i fiori e tuniche del bulbo vistosamente reticolate.
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