Con l’espressione water grabbing, “accaparramento dell’acqua” (o in parole povere “furto dell’acqua“), ci si riferisce a situazioni in cui un attore di potere (un governo, una corporation, un’autorità) prenda il controllo o devii a proprio vantaggio risorse idriche preziose, sottraendole a comunità locali o intere nazioni, la cui sussistenza si basa proprio su quelle stesse risorse e quegli stessi ecosistemi che vengono depredati.
Gli scopi per cui è sottratta l’acqua sono molteplici: dalla deviazione dei corsi per l’agricoltura alla costruzione di dighe per l’energia, dalla privatizzazione delle fonti idriche per ragioni di sfruttamento economico e di sicurezza idrica all’inquinamento dell’acqua per scopi industriali che beneficiano i più ricchi.
L’acqua è un elemento cardine del nostro pianeta. La terra è ricoperta di 1.390 milioni di Km cubici di acqua, di cui il 97,5% è acqua salata presente nei mari e negli oceani e solo il 2,5% è acqua dolce, la gran parte sotto forma di ghiaccio nelle calotte polari. Dunque gli esseri umani hanno a disposizione solo 93.000 Km cubici, pari a circa lo 0,5% del totale. Di quest’acqua solo una parte è potabile o non-contaminata, e di questa distribuita in maniera diseguale tra aree del pianeta.
Se nel mondo occidentale il consumo è cresciuto a dismisura (un cittadino americano consuma 1.280 metri cubi l’anno, uno europeo circa 700) nei paesi in via di sviluppo è crollato. Un africano consuma in media appena 185 metri cubi l’anno. Nella regione africana del Sahel le famiglie consumano anche meno di 10 litri di acqua al giorno.
Con l’aumento dei consumi idrici e della popolazione, la disponibilità pro-capite a livello globale è passata da 9.000 metri cubi d’acqua potabile a disposizione negli anni Novanta a 7.800 nella prima decade del XXI secolo e si prevede che nel 2025, scenderà ancora a poco più di 5.000 metri cubi. Per questo negli ultimi anni sta prendendo piede, silenziosamente, una corsa all’accaparramento delle risorse idriche. Fiumi, bacini, fonti: imprese private e stati fortemente esposti a crisi idriche hanno iniziato a lavorare attivamente per garantirsi approvvigionamenti costanti per agricoltura, industria e uso civile, attraverso l’acquisizione di asset strategici e la realizzazione di mega-infrastrutture
Water grabbing, sottrarre il diritto all’acqua.
L’acqua è un diritto universale. Nel 2010 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che garantisce l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari tra i diritti umani fondamentali. La storica risoluzione, su mozione presentata da Evo Morales Ayma, Presidente della Bolivia, e da una trentina di altri paesi, sancisce che “l’acqua potabile e i servizi igienico-sanitari sono un diritto umano essenziale per il pieno godimento del diritto alla vita e di tutti gli altri diritti umani”. Eppure oggi questo diritto non è tutelato attivamente dagli stati membri.
Un altro documento delle Nazioni Unite che dovrebbe prevenire il watergrabbing è il Trattato sulle acque transfrontaliere per mitigare i rischi di conflitto legati all’acqua. Anche in questo caso il bicchiere è mezzo vuoto. Ad oggi il documento è stato ratificato da solo 39 stati. Usa e Cina rimangono sordi agli appelli della società civile di supportare il documento legale. La mancata approvazione del testo, secondo esperti come Brama Chellaney, un ricercatore indiano che per anni ha coperto il tema dei conflitti per l’acqua non potrà garantire un futuro di gestione sostenibile dell’acqua. Rafforzare la cooperazione tra stati è fondamentale, con nuove intese multilaterali, aggiornando gli accordi esistenti – spesso troppo settoriali e poco olistici – e favorendo lo scambio d’informazioni in maniera trasparente e armonica.
Come si controlla l’acqua
Oggi si stima che nel mondo ci siano oltre 900mila dighe, di cui 40mila di grandi dimensioni. La crescita demografica e la crescente richiesta di acqua degli ultimi anni ha accelerato la costruzione di mega-dighe, grazie anche ruolo centrale dei grandi finanziatori cinesi (330 dighe finanziate in 74 paesi). Questi giganti non servono solo per produrre energia pulita, ma diventano dei meccanismi di controllo dell’acqua che spesso possono danneggiare regioni e stati a valle della diga. Zone di particolare tensione oggi sono il Mekong, il Brahmaputra e l’Irrawaddy, dove una serie di sbarramenti voluti dalla Cina ha messo in allarme altri stati rivieraschi come India e Vietnam.
Un altro meccanismo è l’uso intensivo in settori strategici dell’economia. In molti paesi l’acqua per miniere, centrali elettriche è industria è sottratto a contadini e gente comune che spesso. Uno dei paesi dove ciò è più evidente è il Sud Africa, che detiene il 3,5% delle riserve mondiali di carbone, estrae ogni anno 8milioni di carati di diamanti, possiede oltre l’80% del platino, mentre il 12% dell’oro mondiale estratto ogni anno viene dalle immense miniere sudafricane (la più grande è profonda oltre 3500 metri). E’ il quinto stato al mondo per valore del settore minerario. E gli impatti sono rilevanti. Una delle conseguenze delle miniere è il drenaggio acido, un composto di sostanze tossiche disciolte dall’acqua impiegata per l’estrazione o dalle infiltrazioni nelle miniere in disuso. A discapito di migliaia di famiglie che non hanno accesso alla risorsa oppure sono costrette a bere acqua contaminata.
La privatizzazione è considerata un’altra forma di accaparramento. In Italia nel 2011 si è votato per evitare la privatizzazione della gestione dell’acqua, ribadendo di fatto la necessità di tariffe controllate dal settore pubblico e un controllo della risorsa in mano al settore pubblico e non quello privato. Sebbene l’ondata di privatizzazioni degli anni Novanta, quando le multinazionali dell’acqua come Veolia e Suez iniziarono una serrata campagna di acquisti di infrastrutture, sia stata contenuta, in alcuni paesi, dal Brasile al Ghana, grandi corporation cercano di garantirsi accesso a fonti e sistemi di gestione idrica, imponendo tariffari in linea con le proprie necessità di profitto e non con i bisogni della gente comune, in particolare le fasce più esposte.
Credits fotografici:
- foto di apertura di Fausto Podavini: Witbank. All’interno di una miniera di carbone una donna raccoglie del carbone per uso personale. Il carbone è l’unica risorsa per le persone del posto.
- “Mekong Delta, Vietnam”, foto di Thomas Cristofoletti
- Mappa delle dighe sul Mekong di Federica Frangapane
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