È successo nel sud della Sardegna, per l’esattezza nelle campagne di Giba, solo pochi giorni fa. È stato abbattuto con una fucilata un esemplare di aquila del Bonelli. Un’enorme perdita per la fauna autoctona. Questa specie, infatti, ancora presente in Sicilia, in territorio sardo si era estinta negli anni ’80 ed era stata reintrodotta solo lo scorso anno mediante il rilascio di cinque esemplari, legato a uno specifico programma di ripopolamento.
La notizia ha suscitato profonda rabbia tra gli ambientalisti e tra le associazioni che si battono per la tutela faunistica. In primo piano, il disdegno della LIPU che ha puntato per l’ennesima volta i riflettori sul triste e incessante fenomeno del bracconaggio.
La presa di posizione della Lega italiana protezione uccelli è stata chiara a riguardo: serve un segnale deciso da parte del governo, non solo attraverso la rapida e piena attivazione del Piano nazionale anti-bracconaggio, che secondo l’associazione stenta a decollare, ma anche attraverso un gesto forte e simbolico. “Come ad esempio la chiusura della caccia a tempo indeterminato in tutta la Sardegna”, ha puntualizzato la LIPU.
Il bracconaggio in Italia
Il pensiero della Lega italiana protezione uccelli risulta più che giustificato se si pensa al quadro cupo che contraddistingue il bracconaggio nella nostra penisola. Non passa settimana in cui i giornali non riportino la notizia di denunce o di grandi sequestri di fauna, che riguardano in special modo gli uccelli ma non solo.
Il bracconaggio è diffuso in modo uniforme in tutto il territorio nazionale. Esistono tuttavia delle zone calde, dovute principalmente alla scarsità di controlli. Per di più, ogni area ha sviluppato una tipologia di bracconaggio distinta e rivota a specie diverse. Alcuni esempi?
Come precisato dalla LIPU, tra le zone più calde ci sono le valli del bresciano e del bergamasco, dove la caccia illegale interessa soprattutto i passeriformi protetti come cince, pettirossi, usignoli e diverse altre specie. Qui i piccoli esemplari vengono catturati con gli archetti, veri strumenti di tortura che spezzano le zampe ali uccelli mantenendoli però integri, in modo da poter essere utilizzati in un tipico piatto locale: Polenta e Osei.
Picchi di bracconaggio si riscontrano anche nelle isole. Lo Stretto di Messina è luogo d’elezione per i bracconieri, essendo punto di passaggio di una moltitudine di uccelli migratori come le cicogne e i falchi. In territorio sardo, precisamente in provincia di Cagliari, ogni anno vengono invece cacciati illegalmente con reti e trappole tra i 300 mila e i 600 mila pettirossi, tordi e merli. I poveri esemplari vengono brutalmente uccisi per andare ad arricchire le casse dei ristoranti locali che li usano per preparare le cosiddette “grive”, gli spiedini di uccelli.
Non c’è pace per il lupo
Vittima per eccellenza del bracconaggio italiano è anche il lupo. Come denunciato dal WWF, contro questo straordinario mammifero si è acceso un vero clima di odio, che porta a una ininterrotta serie di episodi di bracconaggio. Si stima che ogni anno nel nostro Paese siano circa 300 i lupi che muoiono a causa dell’uomo. Di questi, almeno uno su due è preda di bracconieri, sempre più spietati e sanguinari.
Questa lenta guerra rischia di portare alla completa estinzione del lupo nel nostro territorio. Se questa ipotesi si dovesse verificare, assisteremmo non solo a una grave perdita a livello di biodiversità ma anche a un impatto pesantissimo su equilibri naturali già fortemente compromessi. È chiaro che bisogna agire nell’immediato per fermare definitivamente il bracconaggio.