Traffico illecito di rifiuti RAEE

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Per il traffico illecito di rifiuti RAEE (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) portato avanti in modo organizzato esiste il reato previsto dall’art. 260 del D.Lgs 152/2006 (ex art. 53bis del c.d. Decreto Ronchi). Se poi si tratta di traffico illecito di rifiuti organizzato a livello internazionale si incorre anche nell’art. 259 del D.Lgs 152.

Dal 2002 a oggi, le inchieste in Italia sul traffico illecito di rifiuti che hanno riguardato i RAEE sono state complessivamente 6, pari al 2,7% delle inchieste totali. Le indagini hanno portato all’arresto di 41 persone mentre altre 214 sono state denunciate a piede libero. Nelle inchieste sono state coinvolte anche 10 aziende in otto regioni diverse.

La fonte dei dati che riportiamo è il rapporto ‘I pirati dei RAEE’ curato dal Centro di Coordinamento RAEE in collaborazione con Legambiente.

Se si è arrivati a questi risultati è anche perché il ‘delitto di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti’, di fatto l’unico delitto ambientale previsto in Italia, ha permesso agli inquirenti di investigare su quelle che sono vere e proprie holding criminali anche servendosi di intercettazioni telefoniche e ambientali.

Tuttavia, una parte significativa del traffico illecito di rifiuti RAEE riguarda apparecchiature che prendono rotte illegali solo dopo essere state smantellate e private delle componenti pregiate. Soprattutto le plastiche e i metalli dei RAEE finiscono nella filiera illegale dello smaltimento di questi materiali che, dal 2002 a oggi, ha originato 32 inchieste giudiziarie con 238 arresti e 708 denunce a piede libero riconducibili a 145 aziende di 18 regioni.

Oltre all’attività organizzata di recupero e commercio illegale dei RAEE, che configura il traffico illecito di rifiuti, preoccupa il fenomeno delle discariche. Negli ultimi cinque anni in Italia sono state sequestrate 299 discariche illegali di RAEE. Il record negativo dei siti illegali scoperti è della Puglia, regione che tra l’altro primeggia anche nella classifica di raccolta dei RAEE pro capite. Seguono a ruota la Campania, la Calabria, la Toscana e la Sicilia.

Un terzo fenomeno deleterio è lo smaltimento domestico selvaggio dei RAEE compiuto da chi butta i dispositivi usati nei cassonetti (azione illecita) o li sotterra ovunque (azione illecita e ancora più riprovevole). I cassonetti per la raccolta dei rifiuti indifferenziati sono, secondo i dati, la destinazione di almeno il 30% dei piccoli RAEE e in particolare lampadine e altre fonti luminose. Ci vorrebbero i cassonetti intelligenti per i rifiuti elettronici, ma sono ancora una rarità.

Allo smaltimento ‘fai da te’ concorrono alla pari la scarsa informazione e il numero ancora limitato di centri di raccolta sul territorio nazionale. I negozianti a volte non aiutano: un’inchiesta del mensile La nuova ecologia condotta con la tecnica del ‘mistery shopper’ ha permesso di scoprire che soltanto 4 esercenti su 12 accettano di ritirare una lampadina usata a fronte dell’acquisto di una nuova. E questo nonostante la legge stabilisca che il negoziante che si rifiuta di ritirare il RAEE incorre in una sanzione fino a 400 euro per ogni pezzo.

Se i RAEE suscitano interesse al punto da alimentare un consistente traffico illecito di rifiuti è perché, oltre a sostanze pericolose per l’ambiente e la salute come gas serra, metalli pesanti (piombo e mercurio) e distruttori del sistema endocrino (ritardanti di fiamma bromurati), contengono anche materiali rari e strategici per diverse produzioni industriali (indio e palladio) e metalli preziosi come oro, rame e argento. Il valore del rame sul mercato è di circa 5-6mila euro a tonnellata, quello dell’alluminio circa 2mila e quello del ferro è intorno ai 300 euro/tonnellata.

I RAEE sono interessanti per il traffico illecito di rifiuti perché contengono anche le cosiddette ‘terre rare’, 15 elementi chimici-mineali particolarmente utilizzati nelle componenti elettroniche, ancora più preziose. Il valore di terre rare come scandio, ittrio e lantanio oscilla tra i 33mila e i 100mila euro al chilo. Il problema economico legato a questi elementi non è dato dalla scarsità, ma dal fatto che la loro presenza è concentrata per il 90% in Cina dove vengono estratte e lavorate. Dalla situazione di monopolio dipende l’esorbitante valore di mercato.