I segnali dei cambiamenti climatici sono sempre più evidenti con conseguenze spesso catastrofiche: dallo scioglimento dei ghiacciai ai frequenti fenomeni meteorologici violenti, dalla desertificazione al crescente rischio di estinzione di innumerevoli specie animali e vegetali. Eppure, in giro per il globo c’è ancora chi si ostina a non riconoscere l’esistenza del problema o la sua gravità. Non stiamo parlando solo del negazionista per eccellenza, Donald Trump. La questione ci riguarda molto più da vicino.
Mercoledì 5 giugno, infatti, nel pieno delle celebrazioni per la Giornata Mondiale dell’Ambiente, il Senato ha bocciato la richiesta di dichiarare “l’emergenza climatica” per l’Italia, contenuta in tre mozioni presentate da Fi, Pd e LeU, che avevano avuto il parere contrario del Governo. Semaforo verde, invece, (con 145 sì, 76 no e 40 astenuti) è stato dato alla mozione della maggioranza, a firma MoVimento 5 Stelle, in cui non si accenna invece all’emergenza.
La dichiarazione di emergenza climatica, voluta fortemente da centinaia di giovani del movimento Fridays for Future Italia ispirati dalla sedicenne attivista svedese Greta Thunberg, è già stata sottoscritta nel mondo dai Parlamenti di Regno Unito e Irlanda nonché da quasi 600 città, tra cui Milano.
Il 5 giugno tra le mura di Palazzo Madama si è consumato frettolosamente il dibattito sulla necessità di intraprendere al più presto misure incisive per contrastare il riscaldamento globale, nonostante gli appelli degli scienziati, secondo cui restano solo dodici anni per intervenire con risolutezza, riducendo gas serra e abbandonando il carbone per i consumi energetici.
Emergenza clima: il dibattito politico in Senato
Come assicurato da Vilma Moronese (M5S), presidente della commissione Ambiente del Senato, la mozione della maggioranza prevede “politiche serie e concrete finalizzate alla decarbonizzazione dell’economia”, impegnando l’Esecutivo “a ricorrere all’eco-design; a favorire l’autoproduzione distribuita di energia da fonti rinnovabili; a promuovere campagne di sensibilizzazione/informazione rivolte ai cittadini in sinergia con gli enti locali, anche mediante l’introduzione dell’educazione ambientale nelle scuole“.
L’opposizione non appare tuttavia soddisfatta. La Senatrice di LeU Loredana De Petris, presidente del gruppo Misto, definisce la mozione del MoVimento 5 Stelle “annacquata” rispetto alla “principale emergenza per l’Italia e per l’intero pianeta“. Duro anche il commento di Andrea Ferrazzi, capogruppo Pd in Commissione Ambiente al Senato e primo firmatario della mozione Dem, secondo cui il MoVimento 5 Stelle ancora una volta “si è inginocchiato ai voleri della Lega, contraria agli accordi di Parigi” sul clima.
La reazione degli ambientalisti
Mentre le polemiche politiche divampano, ora il rischio corso dalla Stato italiano è di essere citato in giudizio da parte di una rete di associazioni, comitati ambientalisti e cittadini con l’accusa di essere “colpevole di inazione” dinanzi agli effetti irreversibili dei cambiamenti climatici.
In rete è già attiva la campagna web Giudizio Universale – Invertiamo il processo, una causa legale collettiva finalizzata a chiedere al nostro Paese di attuare misure più stringenti per rispondere ai cambiamenti climatici e invertire il processo in corso.
Non si tratta di un’iniziativa unica nel suo genere. In molte Nazioni, movimenti e cittadini stanno citando in giudizio Stato, istituzioni e imprese per costringerli ad attuare politiche realmente efficaci volte a dare una soluzione efficace ai mutamenti del clima. Tra gli esempi più noti, va ricordata la disputa legale iniziata nel 2015 tra lo Stato olandese e quasi 900 cittadini rappresentati dalla associazione ambientalista Urgenda Foundation. Il punto di partenza era esattamente lo stesso: un’accusa al governo olandese di non essersi sufficientemente impegnato nella lotta contro l’inquinamento e il surriscaldamento globale.
La causa ha condotto a una sentenza storica: nel 2018 la Corte d’Appello dell’Aia ha riconosciuto che lo Stato olandese deve fare molto di più per combattere i cambiamenti climatici, riducendo le emissioni di CO2 almeno del 25% entro il 2020, in confronto ai livelli registrati nel 1990.
Cosa accadrà a questo punto in Italia? Ai posteri l’ardua sentenza.