Quando si parla di smaltimento o di riciclo dei raee, la normativa vigente parla chiaro:
i produttori e o gli importatori di prodotti elettronici hanno il dovere di gestire un sistema integrato per il trattamento, il riciclo e lo smaltimento dei RAEE così ogni produttore è chiamato a farsi carico di una quota di RAEE da smaltire pari alla sua quota di mercato. Ma quando parliamo di riciclo dei RAEE, a cosa ci riferiamo? Tutti, in piccolo, possono riutilizzare i RAEE ma il sistema su larga scala è del tutto diverso.
Il processo industriale del riciclo dei RAEE prevede degli appositi macchinari che in pochi secondi disgregano e separano i vari componenti dei RAEE. Nel recupero dei materiali non vengono usati tutti i rifiuti elettronici, le catene di riciclo vedono due grosse categorie di RAEE, da un lato vi sono i rifiuti elettronici con display, luci, lcd e vetri catodici (tv, monitor, smartphone…) e dall’altro vi sono i RAEE privi di corpi di illuminazione (frigoriferi, congelatori, lavastoviglie, lavatrici, aspirapolvere, trapani…), da questi ultimi rifiuti si recuperano materiali come ferro, acciaio, cromo, manganese, alluminio, latta, cavi, rame e diversi tipi di plastiche. Dai rifiuti elettronici si recuperano materiali come motori e alberini motore, schede elettroniche, batterie e condensatori.
Il riciclo dei RAEE consente, inoltre, il recupero di materiali pregiati: per ogni tonnellata di RAEE riciclati si stima un recupero di oro che va da 100 a 250 grammi, fino a 750 grammi di argento, 75 grammi di palladio e da 40 ai 120 kg di rame. In questi termini, i rifiuti elettronici (computer in disuso, apparecchiature militari obsolete, apparecchiature elettro-medicali non funzionanti e elettronica dismessa), rappresentano una vera miniera d’oro per chi riesce ad effettuare un’estrazione efficiente e veloce.
Nello scenario industriale non mancano macchine che rappresentano delle vere e proprie catene di montaggio… anzi, “smontaggio”: i raee subiscono diversi processi di disgregazione al termine dei quali, almeno l’80 per cento del “prodotto finito” può essere nuovamente ri-commercializzato e affrontare un secondo ciclo di vita.