Relazione tra Covid-19 e smog: la scienza sembra confermare
Diversi studi lo hanno già posto in rilievo nei mesi scorsi. Ora una nuova ricerca sembrerebbe fornire una ulteriore conferma. Ci riferiamo alla presunta relazione tra Covid-19 e smog, uno tra i numerosi aspetti su cui la scienza sta focalizzando l’attenzione dal momento in cui il nuovo virus ha sconvolto la quotidianità dell’intera popolazione planetaria. Ma cosa è emerso dal nuovo lavoro?
Legame tra Covid-19 e smog: il nuovo studio italiano
Il nuovo studio, pubblicato di recente sulle pagine della rivista Environmental Pollution, ha rilevato una potenziale correlazione a breve termine tra esposizione allo smog e livelli di incidenza, mortalità e letalità di Covid-19. Entrando ancor più nel dettaglio, la ricerca condotta dalla Fondazione CMCC – Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), e realizzata in collaborazione con l’Università del Salento e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), ha preso in esame le concentrazioni di alcuni tra i più pericolosi inquinanti atmosferici (PM10, PM2.5, NO2) e la distribuzione nel tempo e nello spazio dei casi di malattia e dei decessi per Covid-19. Sotto la lente degli esperti è finito l’intero territorio italiano, includendo le singole unità territoriali e concentrandosi soprattutto su quattro delle regioni più colpite: la Lombardia, il Piemonte, l’Emilia-Romagna e il Veneto.
L’analisi dei dati è stata circoscritta al solo primo trimestre del 2020 per ridurre il più possibile gli effetti del lockdown sui livelli di inquinamento atmosferico.
Come spiega Giovanni Aloisio, Corresponding Author dello studio e anche membro del CMCC Strategic Board, Direttore del CMCC Supercomputing Center e Professore Ordinario presso l’Università del Salento, dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione, i risultati “fanno ipotizzare una correlazione (da moderata a robusta) tra il numero di giorni che superano i limiti annuali di concentrazione massima imposti per gli inquinanti atmosferici PM10, PM2.5 and NO2 , e i livelli di incidenza, mortalità e letalità per Covid-19 rilevati in tutte le 107 aree territoriali prese in esame, anche se tale correlazione appare meno forte (da debole a moderata) quando l’analisi viene ristretta alle quattro regioni del Nord Italia, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto, più duramente colpite dalla pandemia”.
Tasso di incidenza del Covid-19: la differenza tra Milano, Bergamo e Brescia
Nello studio italiano, i diversi livelli di Pm10 sono stati ulteriormente analizzati, realizzando un confronto con la variazione del tasso d’incidenza di Covid-19 a Bergamo, Brescia e Milano. Dal raffronto è emerso come tutte le aree prese in esame mostrino un andamento temporale simile per le concentrazioni rilevate di Pm10. Il tasso di incidenza di Covid-19, tuttavia, appare meno grave a Milano rispetto a Bergamo e Brescia.
Per poter comprendere in maniera puntuale la dinamica che si è verificata, sono previsti nuovi sviluppi della ricerca. In futuro lo studio terrà quindi in considerazione altri fattori, quali:
- la dimensione della popolazione;
- l’etnia;
- i posti letto disponibili in ospedale;
- il numero di individui sottoposti ai test per Covid-19
- variabili meteorologiche;
- variabili socio-economiche e comportamentali, tra cui il reddito, l’obesità, l’abitudine al fumo;
- i giorni intercorsi dal primo caso segnalato di infezione;
- la distribuzione per età della popolazione.
Correlazione tra smog e Covid-19: cosa dice la scienza
Lo studio diretto dalla Fondazione CMCC rientra in una serie di ricerche di carattere internazionale, tutte focalizzate sulla correlazione tra inquinamento e Covid-19. Tra i lavori più recenti è possibile ricordare due studi condotti da un team italo-francese, pubblicati su Applied Energy e Environmental Science and Pollution Research, riviste di riferimento per il mondo accademico-scientifico. Dalle due ricerche si evince che le polveri sottili Pm 10 e Pm 2.5, attraverso l’effetto avverso scatenato sui polmoni, potrebbero aver creato un terreno fertile a partire dal quale il Coronavirus è riuscito ad amplificare un processo di infiammazione, presumibilmente già preesistente.
Gli studi hanno inoltre posto in rilievo che le polveri sottili possederebbero la facoltà di fungere da carrier del virus, proprio come accade nella diffusione aerosol tra le persone.
Polveri sottili e Covid-19
A pochi mesi dall’inizio della pandemia, esattamente alla fine di aprile 2020, anche Greenpeace si è espressa sul possibile legame tra smog e Covid-19. La nota associazione ambientalista ha focalizzato in particolar modo l’attenzione sull’elevato tasso di decessi avvenuti nella Pianura Padana, definendola “la grande sconfitta” dell’epidemia.
A sostegno del suo punto di vista, Greenpeace ha citato due ricerche internazionali: uno studio pubblicato a fine marzo su ScienceDirect e un lavoro dell’Università di Harvard, reso noto a breve distanza temporale dal primo. Come puntualizzato dall’associazione, in entrambe le ricerche è stato segnalato come le polveri sottili potrebbero peggiorare l’infiammazione causata dal virus.
Di qui si potrebbe trarre una spiegazione del motivo per cui gli abitanti della Lombardia e dell’Emilia Romagna siano partiti svantaggiati, avendo respirato aria inquinata per una vita intera. Il maggior numero di decessi riscontrati nelle due regioni del nord nel corso della prima ondata di Covid-19 potrebbe quindi essere correlato anche all’esposizione a lungo termine alle polveri sottili.
Inquinamento in Pianura Padana: il ruolo cruciale degli allevamenti intensivi
Utilizzando i dati emersi da un’analisi riferita al periodo 1990-2018 e realizzata in collaborazione con l’ISPRA, Greenpeace ha inoltre precisato che per ridurre i livelli di smog in Pianura Padana, “bloccare il traffico e definire precisi limiti industriali” non appaiono più misure sufficienti.
Secondo lo studio, infatti, nel 2018 il riscaldamento e gli allevamenti sono risultati i settori più inquinanti, responsabili in totale del 54% del PM2,5 nel nostro paese, seguiti dai trasporti stradali (14%) e dall’industria (10%). Nell’analisi condotta dalla associazione è anche emerso che, dal 1990 al 2018, la percentuale del contributo degli allevamenti alle emissioni di PM2,5 non è mai diminuita. Al contrario, ha continuato a crescere, passando dal 7% al 17%.
Gli allevamenti intensivi sarebbero perciò tra le cause principali dell’elevato livello di inquinamento in Pianura Padana. Un dato che trova riscontro in un ulteriore studio di Arpa Lombardia, in cui si legge che l’ammoniaca derivante dagli allevamenti, “concorre mediamente a un terzo del PM della Lombardia, ma durante gli episodi acuti tale contributo aumenta superando il 50% del totale”.
A prescindere dagli studi in corso e in fase di review, dal quadro tracciato finora emerge con chiarezza un dato comune. Non si tratta semplicemente di stabilire una relazione tra Covid-19 e smog. L’inquinamento atmosferico incide pesantemente sulla salute della popolazione mondiale. È giunto il momento di adottare provvedimenti seri e mirati per mettere definitivamente un freno alle conseguenze catastrofiche che ne possono derivare. In ballo c’è il futuro dell’intera umanità.
Pubblicato da Evelyn Baleani il 1 Gennaio 2021