Premio Giornalistico ANEV per il web a Sergio Ferraris

Premio giornalistico ANEV

Sergio Ferraris, giornalista scientifico, direttore di QualEnergia e contributor di IdeeGreen, ha vinto il premio giornalistico di ANEV per la sezione web. Abbiamo fatto qualche domanda a Sergio, che oltre a occuparsi d’ambiente da oltre trenta anni, prima come fotoreporter e poi come giornalista, studia da anni l’innovazione editoriale e ha questa delega all’interno della Federazione Italiana del Media Ambientali (Fima) che ha contribuito a fondare.

Matteo Di Felice, Managing Director IdeeGreen: Sergio, complimenti per il bel riconoscimento. Vuoi spiegare agli utenti di IdeeGreen che cos’è ANEV e quali tipi di premi assegna ogni anno?

Sergio Ferraris, Direttore di QualEnergia: «Anev è l’Associazione Nazionale Energia del Vento che riunisce, dal 2002, i produttori di energia rinnovabile dall’eolico. Anev è molto attiva sul fronte della comunicazione ambientale e ha da oltre un decennio una propria rivistaIl Pianeta Terra” con la quale collaboro ininterrottamente al 2005. Una collaborazione che partì in una maniera decisamente originale».

MDF: Ce ne puoi parlare?

SF: «Si certo. All’epoca collaboravo con il canale scienza di Rai Educational come coordinatore e autore dei testi per dei documentari sull’ecologia, la sostenibilità e le rinnovabili. Eravamo agli inizi, parlo dei primi anni 2000. Avevo appena terminato un documentario di 25 minuti intitolato “Barcellona città sostenibile” e già allora in quella città c’erano una marea d’argomenti e contenuti sulla sostenibilità, basi il fatto che “L’ordinanza solar” che impone il solare termico sui tetti delle nuove costruzioni e di quelle ristrutturate, con tanto di multe da decine di migliaia di euro, è del 2000. Bene presentai il documentario al concorso di Anev e non vinse, ma mi chiamò il fondatore della rivista, nonché figura storica dell’energia eolica Ciro Vigorito, per dirmi che il mio documentario gli era piaciuto e che mi avrebbe voluto come collaboratore della rivista. Da allora, sono passati dodici anni e ogni mesi pubblico un articolo sulla sostenibilità sul Pianeta Terra».

MDF: La nomina di Trump a Presidente degli Stati Uniti è stata un po’ una “doccia fredda” per noi ambientalisti. Cosa ne pensi, quali potrebbero essere le conseguenze a livello globale?

SF: «Saranno notevoli e rappresenteranno un rallentamento delle politiche di protezione del clima per 6-10 anni, anche se la presidenza Tump dovesse durare solo quattro anni. Mi spiego meglio. Il segnale dato da Trump farà si che le politiche del clima a livello internazionale saranno condotte secondo la logica “business as usual” che prevede una crescita delle rinnovabili, “naturale”, secondo tempi e metodi con i ritmi di penetrazione dettati da pure logiche industriali. Verrà a mancare quindi quel colpo sull’acceleratore che negli Stati Uniti è stato rappresentato a Obama e dalla sua alleanza sul fronte climatico con la Cina. E l’Europa è tiepida. Si pensi che gli obiettivi al 2030 dell’Unione Europa in materia di rinnovabili sono solo il 3% sopra alla stima della crescita “business as usual”. L’Europa avrebbe una grande occasione nel sostituire gli Usa nel rapporto con la Cina sulla difesa del clima, ma sembra non interessargli. Il perché è chiaro. Per affrontare in maniera seria lo sviluppo delle tecnologie delle rinnovabili, bisogna aumentare la spesa per la ricerca che non può che essere pubblica, visto che la ricerca privata è solo applicata ai prodotti o ai processi ed è di corto periodo, e quindi in un primo periodo si tratta di fare deficit. E con i vincoli di bilancio e una spesa sanitaria e previdenziale che aumenta a causa dell’invecchiamento della popolazione, investire 3 o 4 punti di Pil in più diventa impossibile. Ecco allora che senza gli Usa con Trump e con un’Europa bloccata dall’ottusità di vincoli di bilancio che non guardano al futuro, la lotta ai cambiamenti climatici subirà una battuta d’arresto. E in un momento cruciale visto che sia la concentrazione di CO2 nell’atmosfera, sia le temperature hanno visto negli ultimi dieci anni un’impennata verso l’alto».

MDF: … e in Italia? La decisione di chiudere Scala Mercalli non sembrerebbe denotare una particolare sensibilità dei media verso l’ambiente …

SF: «L’ambiente in Italia prima di tutto è scomodo e da certe forze politiche non è nemmeno visto come un’opportunità di consenso. Per questo motivo il “canale pubblico”, la Rai, chiude Scala Mercalli e Ambiente Italia, mentre sui media generalisti si trovano sempre meno approfondimenti sul clima e l’ambiente, mentre, sui grandi media, l’ecologia va bene se fa “colore”. Oltre a ciò c’è da registrare grandi casi di disinformazione sulla questione del clima in funzione di una presunta “par condicio”. Su grandi giornali e sulle televisioni nazionali si vedono servizi dove si da il 50% dello spazio ai negazionisti dei cambiamenti climatici e l’altro 50% a chi ne afferma l’origine da parte delle attività umane. Una par condicio fittizia e che è funzionale solo alle energia fossili. Il 99,7% dei climatologi afferma l’esistenza dei cambiamenti climatici e la loro origine antropica. Per cui questa “par condicio” in realtà non ha ragione d’esistere, ma è funzionale agli interessi di chi gestisce le fonti fossili, che rappresentano la fonte principale per l’84% dell’energia che usiamo su pianeta. Giudichino, in base a questi due dati, i lettori lo stato dell’informazione ambientale in Italia».

MDF: Da poco tempo hai iniziato a collaborare con noi di IdeeGreen.it e ne sono veramente contento. Cosa dici, ce la faremo a far conoscere le questioni legate ad ambiente e sostenibilità a un numero sempre più ampio di utenti? Pensi anche tu come me che il web ricoprirà un ruolo sempre più importante nel panorama dell’informazione, anche e soprattutto verso i giovani che si connettono in stragrande maggioranza dal loro smartphone?

SF: «Il web è il futuro dell’informazione e sbaglia chi lo paragona, come fenomeno, alla radio e alla televisione che non cannibalizzarono la carta stampata. Il web è diverso perché è un contenitore complessivo, contiene lo scritto, la radio e la televisione, tutto assieme e intrecciato. Certo oggi siamo in una ancora interlocutoria dove ogni giornalista fa ciò che ha sempre fatto, ma il futuro sarà delle figure ibride perché il web è ibridazione tra scrittura, voce, video e fotografia. E tutto convergerà nello strumento che più ci accompagna: lo smartphone.Tra dieci anni le riviste di carta saranno una copia, magari di lusso e d’affezione, dei contenuti sviluppati sul web che consentirà anche dinamiche della conoscenza e culturali nuove. Pensate solo alla formazione. Io arrivo, magari tramite Google su un articolo che mi interessa e alla fine dell’articolo mi viene proposto un piccolo, o grande, corso di formazione on line, magari certificato, e che posso acquistare per pochi euro, oppure può essere dato in forma “gratuita” allo studente che o appoggia all’account della scuola. L’informazione può diventare, se ben indirizzata e dotata delle tecnologie giuste, il primo strumento di un sistema d’istruzione formidabile che potrebbe consentire alle persone di accedere a quell’ascensore sociale che oggi appare bloccato e d’incrementare le proprie competenze per inserirsi in fasce professionali più alte e slegarsi dalle posizioni professionali più basse che senza dubbio saranno quelle più in pericolo a causa della robotica e dell’intelligenza artificiale».

MDF: Vuoi segnalarmi 3 o 4 macrotematiche a cui secondo te gli utenti saranno sempre più interessati?

SF: «È semplice quelle che li riguardano direttamente e che attengono anche all’ecologia. Efficienza energetica, rinnovabili, consumi, obsolescenza programmata degli oggetti, salute e benessere, saranno gli argomenti più gettonati. E il clima, direte voi? Già il clima fino a quando non ti distrugge la casa o l’auto non è un problema, per le persone e forse nemmeno in quel caso visto che i grandi media parlano di “fatalità” o “tragico destino” fino a classificare gli eventi estremi come “bombe d’acqua”. E poi la proiezione verso il futuro delle persone, verso un futuro che avverrà tra 83 anni è nulla. Ovvio quindi che gli articoli sul clima, nonostante l’impegno che ci mettiamo noi giornalisti ambientali siano i meno cercati, letti e condivisi. E allora bisogna prendere il clima e “farne un panino” all’interno di altri contenuti che interessano i lettori nella loro vita quotidiana. Faccio un esempio. Un articolo sull’efficienza energetica secondo me deve puntare sul risparmio in bolletta in primo luogo, e poi avere un riferimento sui cambiamenti climatici – basta poco una sola frase con un numero – magari personalizzato. In questa maniera a poco a poco si potranno dare gli strumenti alle persone, un gran numero di persone – quelle che su Google cercano “risparmio in bolletta” – circa i cambiamenti climatici e responsabilizzarle sul tema senza terrorizzarle, che è la cosa peggiore. Servono, però, giornalisti che sappiano “utilizzare” rapidamente e con grande precisione, è ciò dipende da come s’utilizzano le fonti, questi numeri. Che devono essere pochi, chiari, precisi, concreti e soprattutto empatici. Tradotto: devono essere capibili e vicini alle persone».