Pozzi e fonti di carbonio

carbon sink

Pozzi e fonti di carbonio” è il nuovo articolo frutto della collaborazione tra la Sezione Valorizzazione della Ricerca e Public Engagement – Agorà Scienza – e dal Green Office UniToGO dell’Università di Torino con la IdeeGreen S.r.l. Società Benefit.

L’articolo riprende i testi del dott. Tommaso Orusa pubblicati nell’opera “Lessico e Nuvole: le parole del cambiamento climatico”, la seconda edizione della guida linguistica e scientifica per orientarsi nelle più urgenti questioni relative al riscaldamento globale, curata dalla Sezione e dal Green Office.

La versione gratuita di Lessico e Nuvole, sotto forma di file in formato .pdf, è scaricabile dalla piattaforma zenodo.org.

La versione cartacea e l’eBook sono acquistabili online sulle seguenti piattaforme di distribuzione:

– youcanprint.it

– Amazon

– Mondadori (anche con Carta del Docente e 18app)

– IBS

– Libreria Universitaria (anche con Carta del Docente e 18app)

Tutto il ricavato delle versioni a pagamento sarà utilizzato dall’Università di Torino per finanziare progetti di ricerca e di public engagement sui temi dei cambiamenti climatici e della sostenibilità.

Definizione di carbon sink

L’UNFCCC (United Nation Framework Convention on Climate Change – Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Clima­tici) definisce carbon sink come “qualsiasi processo, attività o mec­canismo per rimuovere gas a effetto serra, aerosol o un precursore di gas serra dall’atmosfera”.

Sink di carbonio (carbon sink – letteralmente “pozzi di assorbimento di carbonio”) sono quindi attività, processi, o meccanismi di rimo­zione e sequestro di diossido di carbonio (CO2) dall’atmosfera. Il CO2 è tra i più importanti gas a effetto serra, la cui emissione è enormemente cresciuta nell’era industriale primariamente a causa della combustione dei combustibili fossili: ma grazie all’azione dei carbon sink la CO2 può essere rimossa dall’atmosfera e “comparti­mentata”, non svolgendo più nell’atmosfera la sua “capacità serra”.

La quota di CO2 sequestrata non concorre quindi più nel trattenere la radiazione solare riflessa dalla Terra, evitando incrementi radiativi (forcing radiativo – vedi “forzante”) dell’effetto serra naturale, che determina il conseguente riscaldamento globale.

Un carbon sink è quindi un sistema che trattiene CO2 in quantità maggiore rispetto a quella che (eventualmente) rilascia: le foreste sono un tipico esempio a livello generale. Anche se, in alcuni am­bienti, per evitare che le foreste si trasformino da sink a source nelle fasi di senescenza appare necessaria una gestione forestale sostenibile (si pensi al caso dell’Italia con boschi spesso abbando­nati, popolamenti stramaturi e non più in equilibrio).

I carbon sink forestali (forestry carbon sink) sono quindi luoghi dove si verifica il pro­cesso di assorbimento di CO2 dall’atmosfera e suo sequestro mediante fissazione nelle molecole organiche vegetali (“organicazione del CO2”).

Un altro carbon sink particolarmente impor­tante è rappresentato dagli oceani.

Le piante e l’assorbimento di CO2

Ritornando alle piante, esse, assorbendo anidride carbonica (CO2) nel processo di fotosintesi, fissano il carbonio nella propria biomassa e nel suolo, fungendo da vere e proprie riserve di carbonio (carbon stock) sulla superficie terrestre. Secondo l’UN­FCCC: “nell’ambito del Protocollo di Kyoto alcune specifiche attività antropiche come l’afforestazione e la riforestazione e lotta alla deforestazione possono essere utilizza­ti dai paesi sviluppati e in via di sviluppo per compensare i propri obiettivi di emissione. Al contrario, le variazioni di queste attività che riducono i carbon sink (ad esempio un aumento della deforestazione) saranno sot­tratte dalla quantità di emissioni che i questi stessi paesi possono emettere nell’ambito del loro periodo di impegno (del Protocollo di Kyoto)”.

Le attività sopra descritte legate al suolo ed ai suoi usi sono le cosiddette attività LU­LUCF (Land-Use, Land-Use Change and Fo­restry) definite dall’IPCC, che ha codificato delle Linee guida (Good Practice Guidance for LULUCF) volte ad armonizzare le meto­dologie di stima dei flussi di carbonio nei diversi usi del suolo, anche a fini della loro rendicontazione annuale (inventari delle emissioni) e degli assorbimenti nazionali di gas serra. Secondo queste linee guida le variazioni negli stock di carbonio vengono calcolate in 5 serbatoi di carbonio, quali: biomassa epigea (insieme di fusto rami e foglie), biomassa ipogea (apparato radicale), lettiera, necromassa, suolo.

È in fase di sperimentazione e oggetto di studi e di ricerca la creazione di pozzi artificiali di stoccaggio geologico della CO2 (in modo da affiancare il processo natura­le fotosintetico svolto dai vegetali) ricavati dai giacimenti esauriti di idrocarburi e dagli acquiferi salini (corpi idrici profondi), i quali sono ritenuti serbatoi adatti al confinamen­to geologico dell’anidride carbonica.

Tutto ciò è noto come carbon capture and storage (CCS), con cui si intende – oltre al servizio ecosistemico del sequestro – tutto un com­plesso di tecnologie integrate in filiera fina­lizzato al confinamento geologico della CO2.

La tecnica CCS si articola in tre fasi: cattura, trasporto e stoccaggio. Nella cattura la CO2viene separata con l’ausilio di tecnologie collocate prima o dopo la combustione (per es., cattura di postcombustione per assorbi­mento chimico, cattura di pre-combustione per gassificazione del combustibile, cattu­ra per condensazione da gas refluo dopo ossi-combustione).

Il trasporto della CO2, qualora il sito di confinamento non si tro­vi già in prossimità del luogo di potenziale rilascio, può avvenire allo stato supercriti­co attraverso pipeline ad alta pressione o in forma liquida per mezzo di navi opportuna­mente attrezzate. Lo stoccaggio si realizza infine mediante iniezione e confinamento del gas all’interno di idonee e sicure forma­zioni geologiche sotterranee (giacimenti di idrocarburi in via di esaurimento, acquiferi salini, giacimenti di idrocarburi).

Malgrado non raccolga l’unanimità dei consensi, l’op­zione CCS è considerata dall’IPCC di grande prospettiva per la riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera e il conseguimento de­gli obiettivi di mitigazione dei cambiamenti climatici. Peraltro, le maggiori perplessità riguardano la resa energetica complessiva degli interventi CCS (in relazione all’energia consuma­ta per trasportare e iniettare la CO2 nel sotto­suolo rispetto a quella ricavata dai combustibili che la generano) ed eventuali loro impatti nega­tivi, temuti prevalentemente a causa del rischio rilascio (leakage) della CO2 dai serbatoi di con­finamento.

L’Unione Europea, all’interno delle politiche di sviluppo delle tecnologie low carbon e anche per stimolare la ripresa economica (per esempio con il programma EEPR, European ener­gy program for recovery) sostiene la realizzazione di progetti CCS pilota.

Le fonti di carbonio

Infine per fonti di carbonio (source di carbo­nio) si intendono tutti quei luoghi ed elementi presenti nell’ambiente che emettono carbonio anziché assorbirlo e/o immagazzinarlo. Nel ciclo del carbonio un esempio è rappresentato dagli insediamenti umani, le grandi città e le attività connesse. Sono quindi tutti quei luoghi e quei processi che spostano il carbonio stoccato in precedenti sink e stock (foreste, oceani, suolo, sottosuolo, ecc.) verso il comprato ambientale più dinamico, l’atmosfera.

dott. Tommaso Orusa, Gruppo Energia e Coordinamento Cambiamenti Climatici UniTo Green Office UniToGO; Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari – Università di Torino

 

Bibliografia

– Latini Gianni, Bagliani Marco, & Orusa Tommaso. (2020). Lessico e nuvole: le parole del cambiamento climatico – II ed., Università di Torino. Zenodo. http://doi.org/10.5281/zenodo.4276945

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Credits immagine di apertura: Mélina Guêné-Nanchen (distributed via imaggeo.egu.eu)