Populismo climatico: cosa significa e conseguenze
“Populismo climatico” è il nuovo articolo frutto della collaborazione tra la Sezione Valorizzazione della Ricerca e Public Engagement – Agorà Scienza – e dal Green Office UniToGO dell’Università di Torino con la IdeeGreen S.r.l. Società Benefit.
L’articolo riprende i testi del prof. Dario Padovan pubblicati nell’opera “Lessico e Nuvole: le parole del cambiamento climatico”, la seconda edizione della guida linguistica e scientifica per orientarsi nelle più urgenti questioni relative al riscaldamento globale, curata dalla Sezione e dal Green Office.
La versione gratuita di Lessico e Nuvole, sotto forma di file in formato .pdf, è scaricabile dalla piattaforma zenodo.org.
La versione cartacea e l’eBook sono acquistabili online sulle seguenti piattaforme di distribuzione:
– Amazon
– Mondadori (anche con Carta del Docente e 18app)
– IBS
– Libreria Universitaria (anche con Carta del Docente e 18app)
Tutto il ricavato delle versioni a pagamento sarà utilizzato dall’Università di Torino per finanziare progetti di ricerca e di public engagement sui temi dei cambiamenti climatici e della sostenibilità.
Definizione di populismo
Un articolo dedicato al populismo climatico implica una riflessione sui processi di politicizzazione e de-politicizzazione del fenomeno del cambiamento climatico. Implica inoltre una qualche definizione che non potrà essere esaustiva.
Il populismo è uno dei più discussi fenomeni nel campo della politica e del sociale. Il termine populismo evoca immediatamente sentimenti di varia natura, di repulsione e adesione, di opposizione o di mistico consenso, a leader, programmi politici, retoriche della differenza o di mitica omogeneità razziale.
In ogni caso, il populismo è un fenomeno che le categorie della politica fanno fatica ad afferrare e decifrare. Una delle diverse condizioni che rendono possibile affermare che discorsi e pratiche sono populiste è quella che fa sì che il conflitto sociale venga dislocato sul piano della costruzione di un nemico esterno e reificato in un’entità ontologica, il cui annichilimento restaurerebbe una situazione di giustizia e armonia.
Per i populisti, una volta che l’intruso o gli intrusi che hanno corrotto il sistema siano stati eliminati, la situazione tornerà alla sua condizione originaria, una condizione peraltro oggetto di narrazioni fantastiche e immaginarie.
L’oggettivazione del nemico può avere diversi target: il migrante clandestino, l’élite finanziaria, la politica corrotta. Ma quello che è importante è che si tratta di una visione del mondo manichea, che divide la società in due sfere organiche e antagonistiche, il popolo puro virtuoso e la corrotta élite. Anche quando sono al governo, i populisti continuano a generare nemici più o meno reali verso i quali incanalare le pulsioni sociali dei sostenitori (Cas Mudde, 2004).
Qui il populismo vira rapidamente verso visioni e pratiche fasciste, xenofobe, autoritarie.
Populismo climatico
In questo articolo vogliamo provare a capire se il populismo può essere agganciato a opinioni, atteggiamenti e infine pratiche concrete che hanno a che fare con il cambiamento climatico.
La nostra domanda è se le diverse correnti del populismo – in specifico il populismo di destra – manifesti certe visioni del cambiamento climatico che siano coerenti con i suoi presupposti politici e di valore.
Ma d’altra parte ci interroghiamo anche sul fatto se le élite hanno presentato la problematica del cambiamento climatico nella maniera corretta o se invece il modo di presentarlo abbia fin da subito prestato il fianco a visioni scettiche e negazioniste.
Agli inizi, le evidenze empiriche e le dichiarazioni relative al cambiamento climatico sono state segnate da una crescente, ma decisamente pre-politica, preoccupazione per le conseguenze del fenomeno evocata essenzialmente dall’IPCC – che non è solo un organismo scientifico ma anche politico, essendo formato dai rappresentati di centinaia di governi. Il principale assillo dell’IPCC era quello di comunicare i dati scientifici sul fenomeno che via via si accumulavano e la cui condivisione con il pubblico e la politica avrebbe quasi automaticamente messo in moto le misure per farvi fronte.
È in questo contesto che cresce un populismo climatico alimentato spesso inconsapevolmente dagli stessi scienziati del clima che evocano immaginari apocalittici, catastrofici o da collasso, spesso utilizzati per giustificare la richiesta di misure decise per diminuire le emissioni di diossido di carbonio (CO2).
Tali immaginari apocalittici sono populisti in quanto implicano un tipico “frame politico” che ruota attorno ad alcuni fondamentali aspetti che elenchiamo qui di seguito.
Il primo riguarda il fatto che una visione apocalittica del cambiamento climatico chiama in causa l’idea che “siamo tutti sulla stessa barca” e che per far fronte all’aumento di CO2 dobbiamo muoverci all’unisono, come specie o come umanità nella sua astrattezza.
La riduzione di tutte le straordinarie diversità e differenze che segnano le società del Pianeta a un’unica entità – l’umanità, la specie, la popolazione, il popolo – è uno dei fondamenti del populismo.
Ne consegue che – e questo è il secondo aspetto – di fronte al cambiamento climatico e alla crescita di concentrazione del CO2 (si tratti di indagarne le cause o le conseguenze) siamo tutti corresponsabili in quanto specie, occultando in questo modo le radicali differenti responsabilità tra nazioni, società, classi, ecc., nella genesi del fenomeno.
Terzo aspetto, il fatto che in questa logica della guerra alle emissioni di CO2 la natura si presenta come un’entità pericolosa che deve essere ulteriormente domata attraverso complessi sistemi tecno-manageriali. Queste immagini del fenomeno sono populiste in una maniera differente da quella espressa dal populismo di destra: qui si tratta di un populismo tecnocratico promosso da una parte consistente delle élite mondiali, che il populismo di destra vorrebbe combattere.
In breve, il cambiamento climatico non viene considerato un problema generato dal sistema stesso, dalle sue disuguali relazioni di potere, dalle sue crescenti ingiustizie, dal suo compulsivo, (ir)razionale e feroce desiderio di crescita, ma un problema esterno rappresentato dalle emissioni di CO2 che si fissano nell’atmosfera.
Non è il sistema il problema, ma l’eccesso di emissioni che può essere affrontato con le dovute tecniche, da quelle dedicate alla cattura del CO2 in eccesso allo scambio degli stock di biossido di carbonio tra creditori e debitori di CO2.
Successivamente, la narrazione apparentemente neutrale e irenica del fronte tecno-scientifico-politico rappresentato dall’IPCC inizia a trovarsi di fronte delle contro-narrazioni generate da un radicale processo di polarizzazione politica, soprattutto da parte dei partiti e dei movimenti di destra e conservatori, ma anche da parte dei movimenti di sinistra proiettati verso orizzonti di più risolutive trasformazioni.
Tale radicale politicizzazione è avvenuta in virtù di un duplice processo: da un lato una serie di tentativi – alla fine non riusciti – di delegittimazione dell’autorità scientifica dell’IPCC (e più in generale delle scienze dedicate allo studio del cambiamento climatico) ha generato una forte polarizzazione non tanto nel campo scientifico ma nel campo politico dei governi; dall’altro la scesa in campo di componenti politiche e poi di governi populisti – come quelli di Trump, Bolsonaro, e via dicendo – che hanno fatto del negazionismo e dello scetticismo relativo uno ( non il principale) degli elementi della loro retorica.
Peraltro, i paesi con governi populisti e neo-nazionalisti sono responsabili del 30% delle emissioni e, come detto, hanno messo in campo strategie di resistenza contro le azioni orientate a combattere il cambiamento climatico.
C’è da dire che tale scetticismo o negazionismo climatico, veicolato essenzialmente dai media molto vicini alle posizioni politiche del populismo di destra, non sia stato in grado di fare breccia nell’opinione pubblica se è vero che – come appare da una recente survey (Simge Andi, 2020) – solo il 3% dell’opinione pubblica mondiale ritiene il cambiamento climatico inesistente, con picchi del 12% negli USA, dell’8% in Svezia e Australia.
Se questa è di per sé una buona notizia, dall’altra parte dovrebbe invece preoccupare quello che possiamo chiamare la dissociazione o l’indifferenza per il fenomeno (si vedano anche le voci del Lessivo “Distanza psicologica” e “Negazione”).
Percezione della gravità del cambiamento climatico nel mondo
Se diamo uno sguardo ai dati della survey Simge Andi, 2020 (si veda la figura qui sotto – cliccare per ingrandire) emerge che in alcuni paesi solo una leggera maggioranza pensa che il cambiamento climatico sia un problema molto o estremamente serio e tra questi paesi come appunto la Svezia, la Norvegia, la Svizzera, la Danimarca, la Repubblica Ceca. In Brasile paradossalmente il 75% della popolazione è molto preoccupata dal cambiamento climatico pur essendo governata da un presidente populista di destra.
Questo indica che l’opinione pubblica mondiale – almeno sulla base di questa survey ma i cui dati sono confermati da altre estese survey condotte in altri momenti – è segnata da un ancora alto livello di indifferenza e dissociazione, per usare un termine suggerito da Stanley Cohen.
Alcuni hanno inoltre notato come la destra populista sia non solo negazionista del clima ma stia anche optando per una strategia cospirazionista che accusa governi e movimenti che propongono misure di contrasto al cambiamento climatico come parte di un complotto globale e cosmopolita diretto da banchieri ebrei, segrete sette musulmane, o ancora da alcuni magnati – sempre ebrei – che vogliono arricchirsi combattendo il cambiamento climatico.
Come si può intuire, la negazione del cambiamento climatico e l’invocazione dell’esistenza di un complotto che fa di questo fenomeno uno strumento per imporre al “popolo” sacrifici, tasse, rinunce, privazioni economiche e sociali, sono dichiarazioni ben poco politiche.
A sinistra invece il tema della lotta al cambiamento climatico è stato rapidamente quanto inaspettatamente abbracciato da tutte le componenti, dalle più radicali alle più riformiste.
Ma non sono mancate anche in questo caso non proprio velate critiche di populismo, per esempio relative al manifestarsi di posizioni politicamente generiche interclassiste e filo-governative.
Ad esempio, secondo Arias-Maldonado, gli attuali movimenti di protesta climatica manifestano alcuni caratteri populisti, come per esempio l’eccessiva spettacolarizzazione della crisi climatica, la pretesa di radicali e drastiche misure che non tengono conto delle conseguenze sociali che potrebbero avere, o della richiesta addirittura di uno stato di eccezione.
Anche la richiesta di tacere e di iniziare ad agire è vista come un claim populista. Insomma, anche qui vi è il rischio che si presentino – anche se per motivi opposti – forme di democrazia plebiscitaria (non diretta) che reclamano il diritto a sopravvivere e di fronte al quale ogni forma di giustizia mediata da complessi interessi e bisogni scompare a favore di argomenti eco-autoritari.
Occorre dire che queste sono forme estreme di critica che non colgono la realtà di questi movimenti. Purtuttavia, questi semplici cenni rivelano quanto il tema del populismo climatico sia sfuggente ma interessante. Rimane il fatto che movimenti come Friday for Future o Extinction rebellion o anche i numerosi movimenti indigeni – (si veda l’articolo “Movimenti per il clima”) – sono fondamentali per la mobilitazione sociale contro il cosiddetto “climate Leviathan”, sebbene a volte possano cadere un po’ nell’ingenuità propria di movimenti e giovani e in via di maturazione.
prof. Dario Padovan, Dipartimento di Culture, Politica e Società – Università di Torino; Coordinamento Cambiamenti Climatici UniTo Green Office UniToGO
Bibliografia
– Latini Gianni, Bagliani Marco, & Orusa Tommaso. (2020). Lessico e nuvole: le parole del cambiamento climatico – II ed., Università di Torino. Zenodo. http://doi.org/10.5281/zenodo.4276945
– Alietti A. and Padovan D. (2020) (Eds), “Clockwork Enemy. Xenophobia and Racism in the Era of Neo-populism”, Mimesis International, Sesto San Giovanni, Milano.
– Arias-Maldonado M., “Sustainability in the Anthropocene: Between Extinction and Populism”, Sustainability 2020, 12.
– Mudde C., “Populist Radical Right Parties in Europe” Cambridge University Press, 2007.
– Simge Andi, “How People Access News about Climate Change”. In Reuters Institute Digital News Report 2020, Reuters Institute for the Study of Journalism.
– Swyngedouw, E. 2010. “Apocalypse Forever? Post-political Populism and the Spectre of Climate Change”. Theory, Culture & Society, 27(2–3): 213–32.