Patogeni delle piante: quali sono e conseguenze del loro spostamento
“Patogeni delle piante: quali sono e conseguenze del loro spostamento” è il nuovo articolo frutto della collaborazione tra la Sezione Valorizzazione della Ricerca e Public Engagement – Agorà Scienza – e dal Green Office UniToGO dell’Università di Torino con la IdeeGreen S.r.l. Società Benefit.
L’articolo riprende i testi della prof. Massimo Pugliese, della dott.ssa Giulia Alice Fornaro, del prof. Alberto Alma, del dott. Vladimiro Guarnaccia e del dott. Tommaso Orusa pubblicati nell’opera “Lessico e Nuvole: le parole del cambiamento climatico”, la seconda edizione della guida linguistica e scientifica per orientarsi nelle più urgenti questioni relative al riscaldamento globale, curata dalla Sezione e dal Green Office.
La versione gratuita di Lessico e Nuvole, sotto forma di file in formato .pdf, è scaricabile dalla piattaforma zenodo.org.
La versione cartacea è acquistabile online sulle seguenti piattaforme di distribuzione:
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Tutto il ricavato delle versioni a pagamento sarà utilizzato dall’Università di Torino per finanziare progetti di ricerca e di public engagement sui temi dei cambiamenti climatici e della sostenibilità.
Impatto dei cambiamenti climatici sulle piante coltivate
I cambiamenti climatici, e in particolare l’aumentata concentrazione di diossido di carbonio (CO2) accompagnata dall’innalzamento delle temperature, stanno impattando in modo significativo sulle piante coltivate e il loro ambiente, gli agroecosistemi. La concentrazione di diossido di carbonio è passata dalle 280 parti per milione (ppm) dell’epoca preindustriale alle oltre 400 ppm di oggi; ed entro il 2100 si prevedono valori superiori a 700 ppm. A causa dell’effetto serra che ne consegue c’è stato un incremento di circa 1 °C delle temperature medie globali nel secolo scorso, che, purtroppo, senza improbabili inversioni di tendenza nei comportamenti e consumi, rischiano di subire un ulteriore innalzamento di 1,5–2 °C nel corso di questo secolo.
La piramide della malattia
Quale impatto hanno dunque i cambiamenti climatici sulle aree agricole? I modelli di simulazione ci permettono di ipotizzare scenari futuri. Per quanto riguarda l’aumento del diossido di carbonio atmosferico, i modelli prevedono maggiori rese delle colture perché il gas ha un effetto fertilizzante sui vegetali e genera un aumento dei meccanismi di difesa. Allo stesso tempo, più vigore vegetativo significa anche condizioni favorevoli per lo sviluppo di alcuni tipi di patogeni e fitofagi, nonché degli insetti che fungono da loro vettori. Anche l’aumento delle temperature ha una doppia valenza: da un lato permette di estendere le colture in zone finora climaticamente meno adatte o avverse, basti osservare in montagna l’innalzamento della tree-line, ossia del limite per le piante in particolare larici e pini cembri; dall’altro lato però, l’incremento delle temperature fornisce la possibilità per alcuni fitofagi di riprodursi più frequentemente.
Inoltre l’intensificarsi di fenomeni atmosferici estremi come inondazioni, tempeste o, all’opposto, ondate di siccità non potranno che nuocere alle coltivazioni, con conseguenti effetti negativi sulla produzione agricola, a livello forestale e più in generale sulla sicurezza alimentare. I cambiamenti nelle precipitazioni poi stanno già modificando le caratteristiche chimiche e fisiche del suolo e dell’acqua di irrigazione, con conseguenze ancora da studiare e capire appieno. La variazione di ciascuno di questi fattori ha delle conseguenze sull’attività dei patogeni delle piante e sul loro rapporto con l’ospite. Occorre allora studiare l’impatto dei cambiamenti climatici sull’intero “triangolo della malattia” che include l’ospite (la pianta), l’agente patogeno (e suoi eventuali vettori) e l’ambiente. Chi troverà condizioni più favorevoli a seguito dell’aumento delle temperature e dell’anidride carbonica e quale sarà la risposta a seguito di eventi meteorologici estremi, siccità o altre variazioni climatiche? A tale domanda solo uno studio mirato sulla biologia del patogeno, dei potenziali vettori e dell’ospite permette di trovare delle risposte.
Quali sono i patogeni delle piante?
I patogeni delle piante sono funghi o batteri responsabili di marciumi dei frutti, cancri dei rami, marciumi delle radici o infezioni fogliari. Un enorme numero di microrganismi che spesso risiede nei suoli in fase latente o nei tessuti vegetali come endofiti, finché le mutate condizioni ambientali non favoriscono l’alterazione del loro rapporto con la pianta ospite che diventa così di tipo parassitario. Un po’ come succede a noi esseri umani con alcune infezioni micotiche o batteriche. Numerose malattie delle piante sono storicamente note agli addetti ai lavori e non solo, eppure, negli ultimi anni, diverse malattie emergenti si presentano improvvisamente e senza alcuna traccia nella letteratura internazionale. Ampiamente noto l’esempio del batterio Xylella fastidiosa (vedi foto di apertura), studiato per decenni come patogeno della vite e degli agrumi, ma che recentemente è stato riscontrato come responsabile di una devastante epidemia degli ulivi pugliesi. Ancora, diverse specie fungine (Diaporthaceae e diverse specie appartenenti alla famiglia delle Diatrypaceae) note da decenni come comuni abitanti dei tessuti di varie specie vegetali, oggi vengono riportate come una seria minaccia per i campi commerciali del nord Italia destinati alla produzione del mirtillo. Specie raramente rilevate in associazione a malattie di piante aromatiche e ornamentali, appartenenti a gruppi fungini quali Colletotrichum, rappresentano oggi alcune delle più importanti cause di malattie fogliari in grado di compromettere la produzione di tali piante.
Speciali macchine del tempo
Come si studia l’impatto che i cambiamenti climatici hanno su piante e loro patogeni? Gli approcci sono diversi e tra loro complementari.
Ci sono studi che monitorano in loco cosa accade a piante coltivate e non in determinate aree geografiche più esposte ai cambiamenti e ci sono studi sperimentali in grado di simulare “in laboratorio” cosa accadrà in futuro in un lasso di tempo di 30, 50 o più anni. A partire infatti dai dati forniti da modelli in grado di fare proiezioni a lungo termine sugli scenari possibili, diversi sono i laboratori nel mondo che stanno cercando di simulare quello che accadrà alle piante di interesse agroalimentare.
Per esempio in Germania, il GSF di Oberschleissheim dal 1996 ha messo a punto delle celle di crescita per studiare gli effetti di stress ambientali sulle piante; a Kuopio in Finlandia e a Rhinelander in USA si utilizzano sistemi per analizzare gli effetti dell’ozono sulle foreste, mentre in Giappone, presso il Kyushu Okinawa Agricultural Research Center di Fukuoka, vengono condotti studi per valutare l’effetto di stress termici sulla fertilità e produttività di piante di riso.
Tuttavia è presso l’Università di Torino, e in particolare all’interno del Centro Agroinnova, che, per la prima volta, sono stati messi a punto dei laboratori pionieristici per studiare gli effetti dei cambiamenti climatici sulle malattie delle piante. Si tratta di speciali camere climatiche, dette fitotroni, costruite su misura per coltivare piante anche di grandi dimensioni, che possono riprodurre le variazioni previste dei parametri climatici più importanti. È così possibile simulare in modo preciso, pur ovviamente in cicli colturali brevi, la reazione delle piante e dei loro patogeni in presenza di condizioni di temperatura e livelli di CO2 diversi rispetto a quelli attuali.
Particolare attenzione in queste simulazioni è dedicata alle colture orto-floricole anche per la grande importanza che esse rivestono nell’area mediterranea e nel nostro Paese, potenzialmente interessato (per la particolare posizione geografica) dagli effetti dei cambiamenti climatici, con possibili gravi conseguenze sull’agricoltura e sulla sicurezza alimentare in generale.
Diversi studi condotti dal Centro Agroinnova hanno evidenziato che, all’aumento di CO2, i patogeni fungini sono poco influenzati direttamente da variazioni nel livello di diossido di carbonio con concentrazioni che arrivano fino a 800 ppm; lo sono invece molto di più indirettamente, a seguito della risposta fisiologica delle piante ospiti.
Indagini condotte sulla vite hanno mostrato come a un aumento sia della temperatura sia del CO2, possa corrispondere un incremento dell’incidenza e della gravità della peronospora, una malattia causata da un parassita che sottrae risorse alle piante provocando una depigmentazione delle foglie, soprattutto nelle prime fasi dell’infezione.
I risultati ottenuti possono quindi far ritenere che in futuro, con l’aumento del diossido di carbonio e delle temperature, le condizioni ambientali favoriranno attacchi di peronospora più gravi e anticipati rispetto alle condizioni attuali. Inoltre abbiamo avuto modo di verificare che l’interazione combinata tra alta concentrazione di CO2 ed elevata temperatura è in grado di aumentare gli attacchi di mal bianco su zucchino, di Alternaria japonica su rucola, di Colletotrichum ocimi su basilico, di Phoma betae su bietola, di Fusarium equiseti su ravanello e rucola e di Allophoma tropica su lattuga.
A complicare la situazione viene poi il possibile effetto di aumenti di temperature e concentrazioni di CO2 sulla produzione di micotossine (tossine prodotte da funghi) da parte dei patogeni soggetti ai cambiamenti climatici. Diversi studi hanno considerato tale aspetto per alcune specie di Alternaria su cavoli, cavolfiori e rucola, Myrothecium verrucaria su spinacio e Myrothecium roridum su rucola coltivata.
In alcuni casi si è visto che l’effetto della temperatura elevata portava alla produzione di micotossine solo in caso di elevata concentrazione di CO2. Particolarmente interessanti sono gli studi condotti su patogeni terricoli, finora poco investigati in questo ambito, anche in relazione al ruolo che svolgono i microrganismi presenti nel terreno sulla salute delle piante e sulla loro produttività. In merito alla tracheofusariosi della lattuga, per esempio, causata da Fusarium oxysporum, la gravità della malattia aumenta in modo significativo all’aumentare della temperatura, mentre il raddoppio della concentrazione di diossido di carbonio non sembra influenzare la malattia. Un’altra fusariosi, che colpisce invece rucola coltivata, è stata stimolata dall’aumento di entrambi i parametri.
Il ruolo degli insetti
Fra i fattori abiotici che influiscono sulla fisiologia degli insetti, la temperatura è uno dei più importanti, dal momento che regola lo sviluppo embrionale e post-embrionale, la diapausa, ovvero il periodo di stasi dello sviluppo per superare periodi avversi come l’inverno, e altre importanti funzioni biologiche come il volo e l’alimentazione. Ne deriva che i cambiamenti climatici in atto, e in particolare l’aumento delle temperature, si ripercuotono sul ciclo biologico, talvolta aumentando la vita di alcune fasi, sul voltinismo (il numero di nuove generazioni originate ogni anno) e sulla distribuzione geografica.
In questo contesto la maggiore conseguenza del riscaldamento globale implica spostamenti in termini di gradienti di latitudine e altitudine (di cui si è fatto cenno nel percorso Pensare è parlare con particolare riferimento al romanzo “La collina delle Farfalle”, di Barbara Kingsolver, N.d.C.). Ma la crisi climatica ha un effetto anche sulle piante ospiti: l’alterazione della sincronia tra un insetto fitofago e la sua pianta ospite può presentare vantaggi e svantaggi per l’uno e per l’altra.
Tutti questi aspetti risultano particolarmente importanti quando coinvolgono specie dannose alle colture, compresa la vite, una delle principali colture di interesse all’Università di Torino. Calandoci in questo caso specifico, qui di seguito cercheremo di evidenziare alcune delle più importanti conseguenze che l’aumento delle temperature ha avuto e ha tuttora sui principali insetti presenti in Italia o di temuta introduzione.
La flavescenza dorata è una grave malattia causata da un fitoplasma, trasmesso alle piante ospiti principalmente dalla cicalina Scaphoideus titanus, un insetto vettore introdotto in Europa negli anni ’50 del secolo scorso, per il quale lo svernamento avviene allo stadio di uovo e di conseguenza la schiusa accade alla fine di un lungo periodo freddo. Come hanno dimostrato alcuni nostri studi, la schiusa delle uova è molto più concentrata nel tempo in caso di inverni rigidi e molto più scalare (distribuita nel tempo) in caso di inverni miti, come sempre più sono gli inverni alle nostre latitudini. Ne deriva uno sfasamento del ciclo biologico di S. Titanus e di conseguenza la difesa insetticida, che avviene in funzione della presenza o meno di determinati stadi giovanili dell’insetto, è più difficile da gestire, con conseguenze anche economiche sull’intera filiera.
Un altro aspetto estremamente preoccupante che ha indirettamente a che fare con l’aumento delle temperature è la temuta introduzione di Xylella fastidiosa (foto di apertura di questo articolo): un batterio che negli ultimi anni ha attirato una forte attenzione mediatica per aver colpito estensivamente gli ulivi pugliesi, e che nella vite provoca la Pierce’s disease che è in grado di far perire la pianta in pochi anni. Le modalità di trasmissione di X. fastidiosa sono tali che solo gli insetti adulti rimangono infettivi per tutta la vita, ed è quindi necessario un vettore con svernamento allo stadio adulto per la sopravvivenza dell’inoculo durante l’inverno e per l’inoculazione alla vite. La cicalina, Homalodisca vitripennis, che in inverno sopravvive alimentandosi della linfa grezza dei rametti lignificati di vite possiede queste caratteristiche. Tuttavia, al di sotto di una certa e propria “cura del freddo” (cold curing) nei confronti del patogeno, e in effetti X. fastidiosa è diffusa principalmente in zone tropicali e sub-tropicali. Il surriscaldamento globale potrebbe però comportare un’espansione a nord di X. fastidiosa e, peraltro, H. vitripennis sarebbe perfettamente in grado di adattarsi al clima mediterraneo.
Come agire?
La ricerca nel campo della patologia vegetale concentra le proprie forze per cercare di battere sul tempo il cambiamento, trovando nuove strategie per continuare a garantire alti standard qualitativi del comparto agricolo e rimanendo al passo delle tendenze imposte dal consumatore. In termini di adattamento, al diffondersi di alcuni patogeni fungini per esempio, oltre a evitare la loro diffusione in campo, si può intervenire anche indirettamente attraverso la gestione integrata delle condizioni climatiche e di impianto.
Per quanto riguarda la minaccia che proviene dal ruolo degli insetti, la stagionalità, i cambiamenti nella durata delle varie fasi del ciclo biologico, nel voltinismo e nella sopravvivenza di determinati stadi vitali richiedono adattamenti nell’approccio al problema, in particolare riguardo alla gestione fitosanitaria, che possono essere calibrati di anno in anno con semplici monitoraggi. Tuttavia l’irruzione di un fitofago (articolo correlato: Fitopatogeni: cosa sono e come si stanno evolvendo a causa dei cambiamenti climatici) in aree nuove, dovuto all’introduzione accidentale in una zona analoga dal punto di vista climatico e distante solo geograficamente, o alla colonizzazione naturale di zone divenute adatte in seguito a modificazioni del clima, pone invece l’agricoltura di fronte a problemi totalmente nuovi, che richiedono una risposta rapida. Un valido aiuto può giungere dallo sviluppo e dall’applicazione di modelli matematici di simulazione, siano essi fenologici, demografici o di distribuzione geografica. Tali strumenti consentono infatti di giocare d’anticipo e di non farsi trovare impreparati nel momento in cui si presentasse la necessità di gestire nuove emergenze fitosanitarie.
Per riassumere e concludere possiamo dire che oggi l’attenzione di patologi vegetali, entomologi, agronomi e forestali è focalizzata su tre aspetti principali: le perdite di produzione legate alle malattie, la variazione nell’efficacia delle strategie di difesa (mezzi di sintesi chimica e mezzi di lotta biologica) e la variazione della distribuzione geografica dei patogeni (latitudinale e altitudinale).
La tematica, oltre ad avere forti ripercussioni in materia di geopolitica, sicurezza alimentare e bioterrorismo, è di forte interesse anche a livello forestale sia per il comparto selvicolturale – produttivo sia, e soprattutto, per quello ecologico. La risposta a queste problematiche va cercata, oltre che in una spinta sempre più decisa verso la mitigazione della crisi climatica, anche e soprattutto nella ricerca: in tempi in cui molto si parla di Next generation fund in risposta alla crisi Covid-19, essa va sostenuta e finanziata. Solo così potremo arrivare a efficaci strategie di adattamento facendo fronte in modo adeguato alla crisi in atto.
prof. Massimo Pugliese, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari – Università di Torino
dott.ssa Giulia Alice Fornaro, Sezione Valorizzazione della Ricerca e Public Engagement, Direzione Ricerca e Terza Missione – Università di Torino
prof. Alberto Alma, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari – Università di Torino
dott. Vladimiro Guarnaccia, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari – Università di Torino
dott. Tommaso Orusa, Gruppo Energia e Coordinamento Cambiamenti Climatici UniTo Green Office UniToGO; Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari – Università di Torino
Bibliografia
– Latini Gianni, Bagliani Marco, & Orusa Tommaso. (2020). Lessico e nuvole: le parole del cambiamento climatico – II ed., Università di Torino. Zenodo. http://doi.org/10.5281/zenodo.4276945
– Alma A., Lessio F., Nickel H. (2019) “Insects as phytoplasma vectors: ecological and epidemiological aspects”. In Phytoplasmas: Plant Pathogenic Bacteria-II (Bertaccini A., Weintraub P.G., Rao G.P., Mori N., eds.) Springer, Singapore, 1-25.
– Gullino M. L., Gilardi G., Pugliese M., Garibaldi A. (2017). “Effetto dei cambiamenti climatici sulla gravità di alcune malattie”. Protezione delle Colture, 10 (4), 14-18.
Gullino M. L., Pugliese M., Gilardi G., Garibaldi A. (2018) “Effect of increased – CO2 and temperature on plant diseases: a critical appraisal of results obtained in studies carried out under controlled environment facilities”. Journal of Plant Pathology, 100, 371–389.
– Pugliese M., Gullino M. L., Garibaldi A. (2018). “Gestione dell’acqua e cambiamenti climatici: effetti sulle malattie delle piante”. Protezione delle Colture, 11 (3), 27-32.