“Olocene e Antropocene: significato e differenze” è il secondo articolo frutto della collaborazione tra la Sezione Valorizzazione della Ricerca e Public Engagement – Agorà Scienza – e dal Green Office UniToGO dell’Università di Torino con la IdeeGreen S.r.l. Società Benefit.
L’articolo riprende i testi della Prof.ssa Daniela Fargione e del dr. Tommaso Orusa pubblicati nell’opera “Lessico e Nuvole: le parole del cambiamento climatico”, la seconda edizione della guida linguistica e scientifica per orientarsi nelle più urgenti questioni relative al riscaldamento globale, curata dalla Sezione e dal Green Office.
La versione gratuita di Lessico e Nuvole, sotto forma di file in formato .pdf, è scaricabile dalla piattaforma zenodo.org.
La versione cartacea è acquistabile online sulle seguenti piattaforme di distribuzione:
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– Mondadori (anche con Carta del Docente e 18app)
– IBS
– Libreria Universitaria (anche con Carta del Docente e 18app)
Tutto il ricavato delle versioni a pagamento sarà utilizzato dall’Università di Torino per finanziare progetti di ricerca e di public engagement sui temi dei cambiamenti climatici e della sostenibilità.
Olocene
L’Olocene in geologia indica l’ultima epoca del Quaternario, successiva al Pleistocene. Secondo una suddivisione classica, l’Olocene rappresenta il periodo di tempo che vede la scomparsa, in Europa, dei grandi carnivori. Il limite inferiore, convenzionalmente accettato da quasi tutti i ricercatori, è posto a 10.000 anni fa, in connessione con l’inizio della fase di riscaldamento che determinò la scomparsa dei ghiacciai wurmiani, rappresentati in Europa dalla grande calotta glaciale scandinava. La superficie della Terra durante l’Olocene raggiunge condizioni quasi identiche a quelle del XX secolo così come la diffusione degli organismi. Il clima e la distribuzione delle province climatiche è poco diversa da quanto si può osservare ora.
Il genere umano, uscito dal periodo paleolitico, mostra uno sviluppo e una diffusione che prosegue con ritmo accelerato per tutto il periodo, contribuendo persino a modificare l’ambiente naturale con la propria attività.
Con la rivoluzione industriale a metà del ‘700 e l’avvento dell’uso dei combustibili fossili, oltre alla crescente pressione sulle risorse naturali e il boom demografico, il tasso di emissioni e la pressione antropica sulla biosfera hanno assunto una dinamica senza precedenti. Autorevoli studiosi designano convenzionalmente gli anni ’50 del secolo scorso come la “Grande Accelerazione”; un periodo caratterizzato da grande prosperità e sviluppo economico in svariati settori e spinta al consumo insostenibile delle risorse. Pressioni umane sulla biosfera capaci di rendere il genere umano un nuovo forzante/driver all’interno delle variabili naturali che influiscono sul sistema climatico.
Antropocene
Da qui l’Antropocene: un nuovo periodo geologico che segue l’Olocene. Proposto dal premio Nobel Paul J. Crutzen nel 2000 nella scala geocronologica del Pianeta, perché caratterizzato dal profondo intervento umano sui sistemi naturali, i cui effetti sono ritenuti equivalenti a quelli prodotti dalle grandi forze geofisiche che hanno modellato e plasmato la Terra nei suoi stimati 4.6 miliardi di anni di vita.
Coniato dal biologo Eugene Stoermer e diffuso nel 2000 dal premio Nobel Paul J. Crutzen, il termine “Antropocene” si riferisce all’epoca geologica attuale in cui l’ambiente terrestre, inteso come l’insieme delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche in cui si crea ed evolve la vita, è profondamente condizionato dagli effetti dell’azione umana.
L’entità, la varietà e la durata dei cambiamenti antropici sono tali che, per la prima volta nella storia del Pianeta, le nostre pratiche sono entrate a far parte della stratigrafia, iscrivendosi letteralmente nelle rocce, nei ghiacciai e nei sedimenti marini. Sebbene sia impossibile individuare la data precisa dell’inizio dell’Antropocene, si tratta, indipendentemente dal suo avvio, di una apocalisse invisibile ma capace di insinuarsi in tutti gli ambiti della nostra esistenza.
Presto adottata da artisti, umanisti, politici e scienziati, la denominazione “Antropocene” ha allargato i suoi confini semantici fino a denotare una composizione complessa e dinamica di elementi naturali, attività socio-politiche e pratiche discorsive, motore di un processo di ibridizzazione del Pianeta che si evolve incessantemente in una dimensione “naturalculturale”, per dirla con Donna Haraway. Eppure, nonostante la sua popolarità, non solo l’Antropocene non mette d’accordo tutti gli studiosi, ma al contrario ha generato e continua ad alimentare un vivace dibattito: terminologico, politico, filosofico, ecologico.
Fortemente convinti dell’urgenza di creare ponti tra il mondo delle scienze dure e il mondo delle scienze umane, i teorici più accreditati – Bruno Latour, Donna Haraway, Anna Tsing, Rob Nixon, Viveiros de Castro e molti altri – si sono impegnati a dimostrare e discutere criticamente le intersezioni di cultura e ambiente, mettendo in luce alcune questioni di giustizia ambientale e sociale, l’iniqua distribuzione delle vulnerabilità, degli impatti e dei costi dei cambiamenti climatici, e i diversi gradi di agency dell’umano (agentività: capacità di influenzare il sistema in modo intenzionale e mirato – N.d.C.): questa età ci narra una “storia condivisa di risorse non condivise” (Nixon 2014).
E mentre l’Antropocene si è ormai allontanato dai recinti dell’accademia per introdursi diffusamente nel mondo della cultura popolare, la sua storia richiede una narrazione più corretta e uno sguardo più compassionevole. Donna Haraway, per esempio, esprimendo tutta la sua perplessità nei confronti del termine “Antropocene”, ci ricorda che la radice “anthropos” si riferisce a una specie: ma a quale con esattezza? A quella dell’Homo sapiens sapiens senza distinzioni di sorta? All’umanità tutta? O all’umanità “industriale”, quella cioè che contribuisce alla formazione di capitale globale? Perché forse in questo caso, suggerisce in un articolo divenuto ormai seminale per questo dibattito, sarebbe più opportuno usare la parola “Capitalocene” (o l’età del capitale), denominazione coniata dal coordinatore del World-Ecology Research Network, Jason Moore.
Il termine “Antropocene”, infatti, può trasformarsi in un significante vuoto se si negano le differenze, le disuguaglianze e la violenza multi-specie del capitalismo.
Prof.ssa Daniela Fargione, Dipartimento di Studi Umanistici – Università di Torino; Coordinamento Cambiamenti Climatici UniTo Green Office UniToGO
dott. Tommaso Orusa, borsista di ricerca presso Unito Green Office Energia e Cambiamenti climatici e dottorando al GEO4AGRI presso il Dipartimento di Scienze, Agrarie Forestali e Alimentari dell’Università degli studi di Torino
Bibliografia
– Latini Gianni, Bagliani Marco, & Orusa Tommaso. (2020). Lessico e nuvole: le parole del cambiamento climatico – II ed., Università di Torino. Zenodo. http://doi.org/10.5281/zenodo.4276945
– Waters, Colin N., et al. “The Anthropocene is functionally and stratigraphically distinct from the Holocene.” Science 351.6269 (2016): aad2622. – Steffen, Will, et al. “Planetary boundaries: Guiding human development on a changing planet.” Science 347.6223 (2015): 1259855. – Rockström, Johan, et al. “Planetary boundaries: exploring the safe operating space for humanity.” Ecology and society (2009).
– Donna Haraway, “Anthropocene, Capitalocene, Plantationocene, Chthulucene: Making Kin”, Environmental Humanities, vol. 6, 2015, pp. 159-165. – Rob Nixon, “Slow Violence and the Environmentalism of the Poor”, Cambridge, MA and London: Harvard University Press, 2011. – Jason W. Moore, “Anthropocene or Capitolocene? Nature, History and the Crisis of Capitalism”, Oakland: PM Press, 2016 [Antropocene o capitalocene? Scenari di ecologia-mondo nella crisi planetaria, trad. it. e cura di A. Barbero e E. Leonardi, Verona: Ombre Corte, 2017.]
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