Il Monsone dell’Africa Occidentale si sta spostando
“Il monsone dell’Africa Occidentale si sta spostando” è il nuovo articolo frutto della collaborazione tra l’Area Valorizzazione e Impatto della Ricerca e Public Engagement – Agorà Scienza – e dal Green Office UniToGO dell’Università di Torino con la IdeeGreen S.r.l. Società Benefit.
L’articolo riprende i testi della dott. Tommaso Orusa pubblicati nell’opera “Lessico e Nuvole: le parole del cambiamento climatico”, la seconda edizione della guida linguistica e scientifica per orientarsi nelle più urgenti questioni relative al riscaldamento globale, curata dall’Area e dal Green Office.
La versione gratuita di Lessico e Nuvole, sotto forma di file in formato .pdf, è scaricabile dalla piattaforma zenodo.org.
La versione cartacea e l’eBook sono acquistabili online sulle seguenti piattaforme di distribuzione:
– Amazon
– Mondadori (anche con Carta del Docente e 18app)
– IBS
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Tutto il ricavato delle versioni a pagamento sarà utilizzato dall’Università di Torino per finanziare progetti di ricerca e di public engagement sui temi dei cambiamenti climatici e della sostenibilità.
Il monsone dell’Africa Occidentale
Il termine monsone, nella sua accezione più stretta, si riferisce all’inversione stagionale dei venti e alle precipitazioni che l’accompagnano. Insieme all’India, l’Africa occidentale è uno dei pochi posti sulla Terra in cui ciò accade.
Il monsone dell’Africa occidentale (WAM) porta piogge in Africa occidentale e nel Sahel, una fascia di praterie semi-aride racchiuse tra il deserto del Sahara a nord e le foreste pluviali tropicali a sud.
Il Sahel si estende dalla costa atlantica della Mauritania e del Senegal fino al Sudan, all’Eritrea e al Mar Rosso.
Il WAM è una caratteristica dell’estate dell’emisfero settentrionale. La stagione secca dell’Africa occidentale, che va approssimativamente da novembre a maggio, vede prevalenti i venti secchi e polverosi che provengono dal deserto. Quando tale fenomeno si inverte, la bassa pressione sul Sahara spinge i venti dall’entroterra sud-occidentale e quelli sono venti umidi perché provengono dall’oceano.
L’umidità che i venti portano nella regione fa parte della Intertropical Convergence Zone (ITCZ), un’enorme cintura di bassa pressione che circonda la Terra vicino all’equatore.
In definitiva, il monsone è guidato dall’insolazione, poiché l’ITCZ vaga da nord a sud attraverso i tropici ogni anno, seguendo approssimativamente la posizione del Sole attraverso le stagioni. Il Sahel segna la posizione più settentrionale dell’ITCZ e il monsone porta la pioggia nella regione da giugno a settembre.
L’inaffidabilità del monsone dell’Africa occidentale
Il monsone dell’Africa occidentale è notoriamente inaffidabile. Tra la fine degli anni ‘60 e gli anni ‘80 del secolo scorso, la mancanza di pioggia ha colpito gran parte del Sahel, con una diminuzione media delle precipitazioni di oltre il 30% sulla maggior parte della regione rispetto agli anni ‘50.
Ciò ha portato nella regione una prolungata siccità, contribuendo a una carestia che ha ucciso decine di migliaia di persone e innescando una forte instabilità geopolitica, ondate di migrazione e uno sforzo di sostegno da parte della comunità internazionale. Per tale ragione è considerato un tipping point.
La ricerca di Alessandra Giannini pubblicata su Science
Nel 2003, un intenso lavoro di ricerca apparso sulla rivista Science di Alessandra Giannini e il suo team ha messo in luce che la causa della siccità risiede principalmente nel riscaldamento della temperatura superficiale del mare (Sea Surface temperature – SST) in Africa, e non della desertificazione provocata dalla pressione sempre più significativa sulle risorse idriche da parte degli agricoltori e dall’aumento demografico. Sono le temperature oceaniche calde che hanno ridotto il contrasto di temperatura tra il continente e le acque più fresche circostanti. Ciò ha provocato lo spostamento delle piogge monsoniche verso sud lontano dal Sahel, provocando siccità in quest’area. L’effetto è stato rafforzato dal feedback clima-vegetazione, dove condizioni più secche hanno visto una minore crescita della vegetazione, una riduzione dell’evapotraspirazione e ancora meno precipitazioni.
La teoria suggerisce che un clima più caldo potrebbe effettivamente portare più precipitazioni nel Sahel. Poiché la terra si riscalda più velocemente dell’acqua, l’aumento delle temperature globali potrebbe rafforzare il contrasto terra-mare, il che aiuterebbe a guidare il WAM verso nord ogni anno. Ciò potrebbe portare più pioggia nel Sahel e, forse, vedere la vegetazione tornare in alcune parti meridionali del Sahara. Vi sono prove di cambiamenti simili nel lontano passato della Terra. Per esempio, durante il periodo umido africano (African Humid Period – AHP, circa 11.000-5.000 anni fa), le oscillazioni naturali nell’orbita terrestre attorno al Sole hanno visto il WAM rafforzarsi, portando maggiori precipitazioni in Nord Africa.
Le prove dei dati paleoclimatici, come i sedimenti lacustri, suggeriscono che la regione era ampiamente ricoperta di vegetazione e laghi di acqua dolce profondi durante questo periodo. Nelle proiezioni future condotte su modelli in condizioni con scenari di forte riscaldamento, la risposta del Sahara sarà molto più debole di quanto non fosse il cambiamento nell’insolazione diverse migliaia di anni fa.
Le proiezioni climatiche sulla zona del Sahel
A oggi le proiezioni sembrano suggerire uno spostamento della zona del Sahel (e del suo clima tipico che siamo soliti osservare) a nord. Più in generale, le proiezioni di diversi modelli climatici hanno suggerito un futuro più secco che più umido per il Sahel, in un clima che cambia e con un “punto critico” di svolta potenzialmente intorno ai 3 °C di riscaldamento localizzato nel Golfo di Guinea.
Il rapporto speciale dell’IPCC sullo scenario di riscaldamento globale di 1.5 °C conclude che vi è scarsa fiducia [bassa confidenza] nelle proiezioni di un «rafforzamento dei monsoni e dell’umidificazione e dell’inverdimento del Sahel e del Sahara». Rileva inoltre che per tale area vi sono “cambiamenti incerti” associati a un mondo più caldo di 1,5 °C o 2 °C, ed è “improbabile” che si raggiunga un punto critico entro questi livelli di riscaldamento della temperatura.
dott. Tommaso Orusa, Gruppo Energia e Coordinamento Cambiamenti Climatici UniTo Green Office UniToGO; Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari – Università di Torino
Fonte immagine di apertura: Wikipedia, Autore Dorothy Voorhees
Bibliografia
– Latini Gianni, Bagliani Marco, & Orusa Tommaso. (2020). Lessico e nuvole: le parole del cambiamento climatico – II ed., Università di Torino. Zenodo. http://doi.org/10.5281/zenodo.4276945
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– Giannini, Alessandra, R. Saravanan, and Ping Chang. “Oceanic forcing of Sahel rainfall on interannual to interdecadal time scales.” Science 302.5647 (2003): 1027-1030.
– Yoshimori, Masakazu, and Anthony J. Broccoli. “Equilibrium response of an atmosphere–mixed layer ocean model to different radiative forcing agents: Global and zonal mean response.” Journal of Climate 21.17 (2008): 4399-4423.
– Masson-Delmotte, Valérie, et al. “Global warming of 1.5 C.” An IPCC Special Report on the impacts of global warming of 1 (2018).
– Raj, Jerry, Hamza Kunhu Bangalath, and Georgiy Stenchikov. “West African Monsoon: current state and future projections in a high-resolution AGCM.” Climate dynamics 52.11 (2019): 6441-6461.
– Rowell, David P., et al. “Variability of summer rainfall over tropical North Africa (1906–92): Observations and modelling.” Quarterly Journal of the Royal Meteorological Society 121.523 (1995): 669-704.
Pubblicato da Matteo Di Felice, Imprenditore e Managing Director di IdeeGreen.it, Istruttore di corsa RunTrainer e Mental Coach CSEN certificato, Istruttore Divulgativo Federazione Scacchi Italiana e appassionato di Sostenibilità, il 3 Maggio 2022