Mazza di tamburo ‘alla milanese’

Mazza di tamburo
Il sotto della mazza di tamburo che ho trovato nei boschi di Verbania a 900 mt di altitudine.

La mazza di tamburo è un fungo buonissimo che si presta a essere cucinato come una cotoletta alla milanese, cioè impanato e fritto nel burro (oppure nell’olio). Ecco perché, dopo essermene gustate un paio a cena, vi consiglio questa ricetta molto usata in tutte le zone in cui si trova la mazza di tamburo (quella che conosco io è Verbania e dintorni).

Trovare la mazza di tamburo. Per prima cosa bisogna trovare la mazza di tamburo e non pensate all’ortolano. Questo fungo, che ripeto è buonissimo, si presta poco alla commercializzazione perché ha una carne delicata che, a differenza dei porcini, mal sopporta spostamenti e scossoni. La mazza di tamburo va quindi trovata nel bosco.

La mia modesta esperienza di cercatore di funghi mi dice che l’habitat ideale della mazza di tamburo sono i prati di prima montagna (intendo 800-1000 mt) specialmente tra le felci o nel bosco aperto con sottobosco verde. Non è fungo da abetaia o da faggeta per intenderci, anche se si presta bene a diversi micro-habitat.

A me di mazze di tamburo capita di trovarne nel prato in piena luce senza piante intorno ma anche nel bosco sotto il cappello di qualche albero, mai vicino alla radici però. Ho l’impressione che vada d’accordo con la betulla ma anche con la robinia e altre essenze e non vedo un particolare ‘corteggio micologico’. Il periodo giusto va dalla tarda estate  all’inizio autunno a seconda delle condizioni climatiche, settembre è il massimo.

Riconoscere la mazza di tamburo. La macrolepiota procera, che è il nome scientifico del fungo chiamato comunemente mazza di tamburo o in altri luoghi ‘cappellaccio’ ha un gambo duro e legnoso lungo 15-30 cm (ma capita di trovarne di più alte) e un cappello morbido che può superare i 20 cm di diametro quando è aperto e che per questo si presta bene alla preparazione ‘in cotoletta’.

Il cappello della mazza di tamburo è biancastro con una spessa cuticola bruna che si frammenta in grosse squame caduche e staccabili a partire dalla parte più esterna. All’inizio quando è chiuso il fungo si presenta ovale (e assomiglia proprio alla mazza del tamburo) poi diventa campanulato e infine piatto con margine frangiato. Sotto il cappello ci sono lame marcate e biancastre che inbruniscono al filo, libere, fitte, ventricolose, larghe e morbide.

Il fungo che assomiglia di più alla mazza di tamburo ‘classica’ è la macrolepiota rhacodes, parente stretta, che ha il cappello di colore più bianco ed è ugualmente buona. Questa è più facile trovarla nei campi coltivati o sotto gli alberi nei pascoli, oppure nelle radure aperte dei boschi.

Raccolta e pulizia della mazza di tamburo. La raccolta è consigliabile farla servendosi di un coltellino con cui recidere il gambo alla base evitando di estirpare tutto il bulbo radicale lasciando buchi nel terreno. Per la pulizia eliminate il gambo (oppure seccatelo e usatelo grattato come insaporitore) e immergete le cappelle in acqua passandole al massimo sotto un getto leggero. Non serve eliminare la cuticola, operazione che alcuni consigliano ma con cui si finisce solo per danneggiare il fungo. Poi si fa asciugare su carta assorbente.

Preparazione della mazza di tamburo alla milanese. Ed eccoci alla ricetta, che io chiamo ‘alla milanese’ perché ricorda quella della tradizionale cotoletta. Servono:

  • farina;
  • pan grattato;
  • sale;
  • un uovo intero per ogni mazza di tamburo;
  • pepe.

La panatura va a preferenze, io ne preferisco una leggera monostrato per coprire meno possibile il sapore del fungo. Il sale uso mescolarlo alla farina o al pangrattato per incorporarlo meglio, in alternativa alla salatura finale. Per la frittura serve olio ma io non disdegno il burro, anche questo pensando alla cotoletta tradizionale. Dopo la cottura si fa riposare su carta assorbente e si serve caldo dopo aver verificato il sale (se manca si aggiunge) e se piace con una leggera spolverata di pepe.