La sopravvivenza delle malghe è un tema da affrontare con serietà. A meno che si voglia lasciare l’ambiente di montagna e mezza montagna alle sole attività turistiche. Queste ultime vanno benissimo, intendiamoci, ma l’ambiente alpino per vivere ha bisogno di vita e di lavoro.
Quando guardo le fotografie di una zona delle prealpi che conosco bene risalenti alla prima metà del secolo scorso, la prima cosa che noto sono le ampie zone senza alberi. Non che ci fosse il deserto, ma di alberi ce n’erano molti meno rispetto a oggi. Abbattimenti selvaggi? No, malghe e vita.
In quegli anni la montagna era fonte di cibo e di reddito e la zootecnia alpina era molto diffusa. Gli allevatori e gli alpi-coltori vivevano le zone in quota e se ne servivano. Gli alpeggi erano lavoro e la malga, intesa come l’insieme delle attività di ‘monticazione’, era un fattore economico importante. I boschi alpini, fonti inesauribili di materie rinnovabili come il legno, erano floridi e sani. Non abbandonati e spesso malconci come appaiono oggi in molti luoghi.
L’abbandono delle malghe è stato il risultato di una serie di cambiamenti sociali ‘volontari’, certo, ma ci sono anche dei problemi. Burocrazia e regole sanitarie a non finire, conflitto con altri usi del territorio, concorrenza con altre attività economiche, urbanizzazione e conseguente frammentazione territoriale.
Per non parlare delle dinamiche a volte perverse dei mercati, della perdita di strade e percorsi in quota, della mancanza di strutture alpine in grado di garantire agli operatori livelli di qualità di vita adeguati. Tutto sembra voler complicare la strada a chi oggi vorrebbe riscoprire le malghe e zootecnia alpina, e non sono pochi.
Nella direzione di riscoprire la montagna difendendo la malga è la pubblicazione della Guida escursionistica delle Malghe nel territorio dell’Adamello curata dall’Associazione Uomo e Territorio Pro Natura, un sodalizio ambientalista molto attivo nella difesa e valorizzazione del territorio.
L’approccio di questa associazione segue il modello Landscape Scale Conservation, vale a dire la conservazione applicata a scala di paesaggio. Programmi territoriali mirati in cui si inseriscono, oltre al progetto che riguarda le malghe, anche altri importanti programmi mirati alla valorizzazione della montagna e anche tutela della biodiversità alpina.