L’Agricoltura italiana ha paura delle multinazionali

Gli agricoltori italiani sono spaventati dalle speculazioni internazionali e anche i consumatori dovrebbero esserlo: purtroppo si è persa la consapevolezza di ciò che mangiamo e questo reca danni alla salute dell’uomo, dell’ambiente e dell’economia nazionale. Se un tempo gli agricoltori avevano paura di parassiti e malattie che potevano incidere sul raccolto, oggi temono le speculazioni del settore agroalimentare.

Mais, frumento ma anche la soia e i cereali. Sono prodotti alla base dell’alimentazione umana e materie prime per produrre mangimi di cui si nutrono le mucche da latte e il bestiame per la produzione delle carni. L’agricoltura italiana da sempre deve fronteggiare avversità come parassiti, malattie vegetali e degli animali, ma da qualche tempo a questa parte il suo timore più grande è dato dalle speculazioni internazionali che causano una grossa “volatilità dei prezzi” uccidendo il mercato agricolo e le politiche ambientali.

Cosa significa “volatilità dei prezzi“? Il classico esempio italiano è dato dal prezzo del frumento che da luglio 2010 a giugno 2011 in Italia ha visto delle oscillazioni pazzesche passando da 20 euro al quintale fino a un prezzo inferiore ai 5 euro per quintale. Il prezzo di 20 euro al quintale è stato più o meno costante fino a settembre 2010, prezzo dato dalla borsa di Bologna, una delle borse più importanti per i cereali italiani. 20 euro al quintale, per un agricoltore italiano significa rientrare appena con le spese. Da questo esempio pratico è lampante la difficoltà che il settore agricolo italiano deve affrontare. I prezzi delle materie prime variano molto rapidamente e il problema è che per l’agricoltura italiana è impossibile prevedere tali oscillazioni.

Il patrimonio economico che gira intorno alle materie prime e quindi all’agricoltura, è così alto che ha destato l’interesse delle grandi multinazionali che acquistano e rivendono cereali proprio come altre società speculano sul petrolio e il carbone. Certo che i cereali sono alimenti poveri e non hanno nulla a che vedere con il petrolio ma nel giro di pochissimi anni sono entrati al centro dell’attenzione del mondo della finanza internazionale.

Il motivo? In Cina e in India i consumi pro capite di cereali sono in calo e le nazioni hanno cambiato drasticamente le loro abitudini alimentari in favore di un’alimentazione basata sul consumo delle carni. Tale cambiamento può sembrare “futile” ma ha dato vita a un altro fenomeno preoccupante, il cosiddetto “land grabbing” che significa letteralmente “accaparramento della terra”. Si tratta di una corsa a chi si aggiudica la fetta di terreno più ampia in quei paesi in via di svilluppo. Le grandi multinazionali hanno dato il via a quello che è stato definito il “neo colonialismo agrcolo“, fenomeno nato nel 2007.

I dati raccolti dalla Oxfam, Confederazione internazionale che si batte contro l’ingiustizia della povertà nel mondo, dal 2001 a oggi gli ettari di terreno protagonisti di cessioni e vendite, sono oltre 227 milioni. Per rendere l’idea di quanti siano 227 milioni di ettari di terreno, dovete immaginare un’area grande quanto tutta l’Europa Nord Occidentale. Con questo esempio è chiaro a tutti quanto è importante il settore agroalimentare per le speculazioni delle multinazionali. La crisi dei prezzi che ha colpito l’agricoltura italiana e ha poi reso l’agricoltura biologica come un bene d’elite, è stata causata da tali speculazioni.

La coltivazione nel sud del mondo, produce cibo a bassissimo costo, alimenti poi venduti nei paesi occidentali. E’ difficile prevedere quali procedure di sicurezza siano attuate in queste zone geografiche ma la coltivazione intensiva, così come gli allevamenti intensivi, possono ledere gravemente alla salute dell’ambiente (emissioni nocive, pesticidi, diserbanti rilasciati nell’atmosfera) e dell’uomo. Inoltre la coltivazione intensiva è utilizzata non solo per la produzione di cibo ma anche di biocarburanti. L’acquisizione massiccia dei terreni è fortemente criticata e ha raccolto una serie di condanne da parte di governi e enti che si occupano della tutela dell’uomo e del territorio.

La soluzione per l’agricoltura italiana? Come spesso accade il potere è nelle mani del consumatore. Gli agricoltori italiani non possono fare molto se non adeguarsi a una coltivazione intensiva e stipulare accordi con le multinazionali per non far oscillare troppo i prezzi. Il consumatore, prediligendo il prodotto nostrano potrebbe, invece, fare la differenza.

a cura di Anna De Simone