E’ ora di passare da interventi singoli e sporadici ad una visione più di sistema delle iniziative, perché la mobilità sostenibile è soprattutto quella delle donne e le modalità e i servizi devo cominciare a tenerne conto. Come? Lo spiega la “Carta della mobilità delle donne e per le donne”, realizzata da Federmobilità, Adiconsum, Irs e con la collaborazione di TRT Trasporti e Territorio. Patrizia Malgieri, direttore pianificazione TRT Trasporti e Territorio, racconta perché serve fare di più. E cosa. Quando? Subito.
1) Si può dire che la mobilità sostenibile in Europa è donna?
Direi che la sostenibilità delle donne è nei fatti e non teorica o dichiarata. Le donne si spostano meno in auto (46%) rispetto agli uomini (57%); per contro, si muovono di più con i modi collettivi (treno, bus, metro, ecc.) (donne 23% uomini 18%) e a piedi (donne 19% uomini 10%), questo è ciò che ci dice Eurobarometro per i paesi EU-27.
2) L’Italia è in linea con il trend europeo? Ci sono differenze tra Nord e Sud?
Anche in Italia registriamo la stessa tendenza messa in evidenza in Europa: più trasporto collettivo e meno auto, questo ci dice l’Osservatorio Audimob sulla domanda di mobilità degli italiani, 2011. Tuttavia il nostro paese sconta un deficit informativo clamoroso rispetto ad altri paesi europei come Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna. Noi, ad esempio, non disponiamo quindi di informazioni disaggregate per ambito territoriale o fasce di età della popolazione femminile.
3) Come spiegate questi dati?
La domanda di mobilità è strettamente correlata alle condizioni professionali, di reddito, all’età degli individui, e così via. Per quanto riguarda le donne, questi aspetti sono acuiti dal loro ruolo nel mercato del lavoro e nella gestione familiare. Le donne, quando lavorano, sono più condizionate dei propri partner nello scegliere un lavoro vicino a casa in modo da conciliare tempi di lavoro e tempi di cura della famiglia. Da qui il fatto che gli spostamenti delle donne sono mediamente più brevi, praticabili a piedi o in bici.
Le donne, in generale, hanno anche molti più spostamenti per acquisti, visite e viaggi di accompagnamento che rendono la mobilità delle donne maggiormente “erratica” con catene dello spostamento meno semplici e lineari. Alla semplice catena maschile casa-lavoro-casa si sostituisce la più complessa: casa-accompagnamento figli-lavoro-recupero figli- spesa-casa- ecc.-ecc…
4) In che modo gli operatori del trasporto PUBBLICO soprattutto LOCALE dovrebbero tenerne conto?
Ci sono un insieme di questioni che dovrebbero essere prese in carico dai gestori dei servizi dei trasporti a partire dal fatto che le donne sono il loro target di riferimento principale. Dovrebbero studiare meglio le nostre esigenze di mobilità: orari, percorsi; individuare politiche tariffarie e di prezzo in grado di catturare la domanda di mobilità delle donne. Quando si acquistano nuovi veicoli (bus, tram, ecc.) bisognerebbe far attenzione agli interni (spazi riservati al trasporto passeggini, carrelli, ecc.), alle condizioni di accesso a bordo del veicolo, riducendo il dislivello tra il piano di fermata e il veicolo. Anche le fermate andrebbero messe in sicurezza e ben illuminate.
Tutti questi sono aspetti che sempre più diverranno rilevanti tenuto conto sia dei processi di invecchiamento della popolazione, ma anche del fatto che, per motivi di reddito e sociali (popolazione immigrata), è più frequente il ricorso al trasporto pubblico da parte dei giovani genitori rispetto alle generazioni precedenti.
5) E le amministrazioni pubbliche?
Devono fare la loro parte e ne hanno la possibilità. Prima di tutto, attraverso l’elaborazione di PUM (Piani urbani della mobilità) e PUT (Piani urbani del traffico), per porre attenzione alla specificità della mobilità delle donne acquisendo ed elaborando le informazioni sulla domanda di mobilità, promuovendo interventi sulle infrastrutture (ad esempio mettendo in sicurezza e facilitando l’accesso ai servizi di trasporto) e sulle politiche (ad esempio attraverso l’organizzazione di servizi alla mobilità attenti alle specificità delle donne sia in relazione agli orari che alle pratiche d’uso).
Dando qualità alle infrastrutture ed ai servizi alla mobilità secondo un’ottica di genere, si favoriscono non solo le donne, ma tutti.
6) Ci sono esempi in Europa da importare in merito?
La Gran Bretagna rappresenta indubbiamente un buon esempio sia sul fronte dell’attenzione alla domanda di mobilità delle donne che delle politiche: l’agenzia della mobilità di Londra, “Transport for London”, ha adottato dal 2007 una procedura “Gender Equality Scheme” che monitora i servizi erogati (bus, metro, treno, ecc.) secondo indicatori di genere. Gli indicatori di monitoraggio tengono conto sia degli utenti che dei dipendenti. Il processo è organizzato attraverso il Gender Audit che tiene conto delle condizioni di accessibilità ai servizi, della sicurezza, delle politiche tariffarie, del livello e facilità di accedere all’informazione, delle condizioni occupazionali, ecc.
Altri esempi interessanti si ritrovano anche in Italia: Reggio Emilia, Bolzano, Merano e Padova, ad esempio, sono città che hanno introdotto agevolazioni alla mobilità delle donne come parcheggi rosa, taxi rosa, tariffe preferenziali per le donne per i servizi di car sharing, ecc..
Ora si tratta di passare da interventi singoli e sporadici ad una visione più di sistema delle iniziative, anche facendo fulcro sulla Strategia Europea di eguaglianza donna-uomo promossa dal Parlamento Europeo.
7) Cosa deve assolutamente contenere una carta di mobilità delle donne? Quali passi state facendo perché diventi realtà?
Federmobilità e Adiconsum hanno presentato la Carta della mobilità delle donne e per le donne. La carta prende spunto da uno studio redatto per conto del Parlamento Europeo. TRT Trasporti e Territorio ha individuato 10 punti che spaziano dai servizi di trasporto alle azioni più concrete, al tema dell’informazione e dei dati, all’affermare la presenza delle donne nella governance delle aziende di trasporto, nelle strutture della pubblica amministrazione, nel campo della pianificazione di settore, consapevoli del fatto che il settore dei trasporti è un universo essenzialmente maschile. In Italia le donne rappresentano solo il 17% degli occupati nel settore.
Il primo passaggio che stiamo compiendo è quello di inserire la carta della mobilità delle donne in quella della qualità dei servizi di recente rivista nella sua struttura (Legge 24 dicembre 2007, n. 244), altri passaggi li sta compiendo Federmobilità con comunicazioni ufficiali alle istituzioni. Il nostro contributo, come tecniche del settore, è di riportare nell’ambito della pianificazione e nel dibattito i contenuti della carta perché questa diventi uno strumento di lavoro per le donne all’interno delle strutture aziendali e della pubblica amministrazione.
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Intervista a cura di Marta Abbà