Intervista a Francesco Gori sul sogno di una città migliore
In Italia “c’è ancora tanto da fare ma stiamo imparando dai vicini ed è positivo lo slancio degli ultimi 10 anni”, quanto al sogno di una città a emissioni zero, è ”utopico, almeno per ora”. E’ un ritratto del mondo in toni chiaroscuri quello dipinto da Francesco Gori, amministratore delegato di ESA Engineering che, con molta concretezza, ha raccontato come trasformare le città e soprattutto la vita di chi ci abita o ci lavora. Traffico e riscaldamento, quindi, ma non solo: è una questione di energie alternative, di mentalità alternative e anche di silenzio. Sì, anche quello è inquinamento.
1) Cinque consigli per migliorare l’efficienza energetica di una città?
Risparmiare significa innanzitutto consumare meno. Il primo passo verso una città green si basa sicuramente sulla sensibilizzazione delle utenze trasmettendo il messaggio che l’azione del singolo può diventare significativa a livello di comunità. Ma le buone intenzioni sicuramente non possono tutto, ed è qui che ci viene incontro il progresso tecnologico, come nel caso , ad esempio, delle pompe di calore che, basandosi sul principio dello spostamento di energia, permettono rese impensabili rispetto ai sistemi a combustione. E poi le risorse rinnovabili. Siamo immersi in un enorme potenziale “gratuito” e non lo sfruttiamo! Terra, sole, acqua, risorse che scambiano ed immagazzinano quotidianamente energia, possono essere sfruttate per soddisfare, gratuitamente o quasi, i fabbisogni. Anche il più efficiente dei sistemi ha però dei limiti: spesso si generano scarti energetici che vengono persi o che addirittura possono essere dannosi. Si pensi ad esempio ai condizionatori tradizionali, per raffrescare i locali si espelle all’esterno aria calda. E allora.. perché non recuperare questo calore? L’efficienza energetica passa sicuramente anche per il recupero di questi cascami di calore evitando più possibile gli sprechi. Una sorta di riciclo dell’energia!
2) Cosa si guadagna e quanto si spende a livello di comunità e di amministrazione? Economicamente e non…
I consumi a livello comunitario sono davvero impressionanti. Una recente statistica da parte di Cestec indica che la media degli immobili a Milano corrisponde ad una classe G e che il solo settore civile consuma annualmente 18.000 GWh. Tenendo conto che una classe G consuma circa 5-10 volte rispetto ai nuovi edifici a risparmio energetico, il potenziale di miglioramento in una metropoli come Milano è davvero importante.
3) Come si posizionano le città italiane, in media, rispetto a quelle europee? Esistono delle best practices da importare?
L’Italia è partita in ritardo rispetto a molte altre nazioni per quanto riguarda il contenimento dei consumi: infatti, mentre da noi concetti come efficienza energetica, certificazione, classe A, sono un po’ una novità degli ultimi anni, in altri paesi più virtuosi sono concetti ormai assimilati da decenni. In questi paesi si stanno ormai sperimentando protocolli avanzati che abbracciano la sostenibilità includendo parametri aggiuntivi rispetto al consumo annuale, come ad esempio lo sfruttamento delle acque meteoriche o piani di monitoraggio per l’ottimizzazione progressiva degli impianti. A Londra, ad esempio, il protocollo inglese BREEM nato negli anni ’90, viene obbligatoriamente utilizzato anche per interventi di ristrutturazione edilizia all’interno della “city”. In America si sta invece affermando la certificazione LEED con qualche spontanea applicazione anche nel nostro paese. A livello italiano c’è quindi ancora tanto da fare imparando dai vicini. E’ comunque positivo lo slancio degli ultimi 10 anni per migliorare sensibilmente il settore civile.
4) Quali strumenti si possono mettere in campo a livello cittadino per ridurre le emissioni di CO2?
Le emissioni di CO2 vanno a braccetto con i consumi. Consumare meno significa, semplicemente, produrre meno CO2! Le strategie di efficienza energetica hanno quindi il duplice vantaggio di ridurre costi e consumi, ma anche di avere notevoli ripercussioni dal punto di vista ambientale. A Milano abbiamo operato molto sfruttando una risorsa preziosissima, l’acqua di falda. Con questi interventi abbiamo stimato un abbattimento delle emissioni di CO2 di circa il 35-45% su base annua, un risultato sicuramente significativo. Se solo il 20% del settore civile adoperasse sistemi di generazione analoghi, avremmo un abbattimento delle emissioni pari al 60% di quanto previsto dal “Piano per una Lombardia Sostenibile”.
5) Per ridurre il pm10-pm2.5 si deve agire solo sul traffico o c’è ben altro?
In Lombardia l’ARPA di occupa si monitorare proprio le proprietà e la qualità dell’aria e, dai dati a libera consultazione, si evince come a Milano la produzione di PM10 sia da attribuire per circa il 30% alla combustione non industriale (ossia praticamente solo al civile) con dei picchi invernali ben oltre i limiti di legge. Questa non uniformità nei valori su base annua, considerando una scarsa variabilità del traffico, indica come i sistemi a combustione per il riscaldamento invernale abbiano un’incidenza non trascurabile rispetto a sistemi di generazione ad energia elettrica che eliminano di netto il problema, attingendo energia prodotta al di fuori dei centri urbani e spostando così la produzione in zone dove non c’è concomitanza tra traffico e combustione. In quelle zone si è nettamente sotto la concentrazione di guardia. Inoltre l’energia elettrica viene prodotta anche grazie allo sfruttamento di risorse rinnovabili, un sistema quindi che non prevede processi inquinanti.
6) Una città a emissioni zero è possibile, secondo lei? In Italia esistono politiche che stimolino conversioni green o ce ne vorrebbero altre?
L’obiettivo città a 0 emissioni è secondo me utopico da raggiungere, soprattutto nel “breve” termine. Si sta parlando di città già formate, costruite in epoche in cui non c’era la consapevolezza che c’è oggi sui problemi energetici ed ambientali. Piani di ammodernamento che comprendono tutto ciò che è civile, non solo da un punto di vista impiantistico ma, soprattutto, architettonico, comportano una serie di interventi difficilmente attuabili anche tralasciando l’aspetto economico. Si può parlare invece di edifici a 0 – o quasiemissioni, per tutto ciò che è nuova costruzione grazie ad una sinergia tra progettisti e legislazione o, in alcune situazioni, anche per interventi di riqualificazione. Il problema è sentito soprattutto nel caso di ristrutturazioni dove non sempre l’utente è disposto a spendere cifre più alte nell’ottica di un guadagno futuro.
In Italia ci sono strumenti di incentivazione come il 55% e il 36% che permettono un ritorno economico per interventi energeticamente virtuosi, anche se in un lasso di tempo di 10 anni. La Lombardia è forse la regione più attiva dal punto di vista energetico ed ha messo in campo ulteriori strumenti di incentivazione come lo scomputo dei muri per le nuove costruzioni e, limitatamente al comune di Milano, sconti sugli oneri di urbanizzazione per nuove costruzioni e ristrutturazioni in funzione del raggiungimento di alcuni standard energetici. Un ulteriore incentivo potrebbe consistere in un contributo statale che favorisca la nuova costruzione nell’acquisto di sistemi impiantistici in modo da ridurre il payback-time dell’impianto. Un po’ ciò che accade con il 55-36% ma esteso anche al nuovo.
7) L’inquinamento acustico è una problematica diffusa? Che consapevolezza c’è del fenomeno?
L’acustica è un aspetto che nella progettazione è sempre stato un po’ trascurato e che solo ora comincia ad avere una certa valenza anche a livello normativo. Nella progettazione impiantistica il professionista si trova ad operare con macchine spesso rumorose, con dati da parte dei produttori non sempre chiari ed attendibili, e con la necessità di fare tutta una serie di analisi di impatto acustico complesse e delicate. Questo significa costi aggiuntivi, prescrizioni come barriere architettoniche non sempre applicabili e, da un punto di vista puramente architettonico, situazioni spiacevoli. Tutto questo diventa superfluo utilizzando sistemi geotermici, installabili in locali meno nobili come gli interrati, dove le problematiche acustiche possono essere facilmente risolte con una buona progettazione architettonica.
Intervista a cura di Marta Abbà
Pubblicato da Marta Abbà il 6 Marzo 2012