In un paese dove i ciclisti sono aumentati nonostante e non certo grazie alle azioni di governo, Eugenio Galli, presidente di Ciclobby, denuncia una totale mancanza di un piano nazionale di mobilità ciclistica. Mentre i ciclisti e gli automobilisti di domani crescono, speriamo adeguatamente istruiti sulla sicurezza e sulle regole del codice stradale, qualche città come Lodi, Brescia, Bolzano, Ferrara e Reggio Emilia, pedala verso l’Europa, mentre le altre, chi più e chi meno, restano indietro. In attesa che a Roma qualcuno monti in sella.
1) Quanti sono e come stanno oggi i ciclisti in Italia? Il confronto con l’Europa?
Le persone che utilizzano la bicicletta in media in Italia negli ultimi anni sono in crescita, soprattutto se parliamo di mobilità urbana, ma è un aumento non misurabile perché molto disomogeneo, tra Nord e Sud, e anche tra città e città. A Milano, ad esempio, si parla di un aumento annuo dell’8%: non saprei dire se è vera la cifra ma è certo innegabile che molti più milanesi usano bicicletta, basta girare in città per vederlo.
Una parte dei cittadini che negli ultimi anni ha imbracciato la bicicletta lo ha fatto per convinzioni personali di tipo ecologico, oppure per risparmiare sia tempo sia denaro. Probabilmente per molti è stato un mix di queste due ragioni. Rispetto all’Europa, però, siamo profondamente in ritardo, di decenni. E questo solo a causa della totale assenza di politiche attente alla mobilità ciclistica. Non raccontiamoci che abbiamo le stradine strette o che è una questione di cultura: i paesi nordici, e non solo loro, ci battono perché sono partiti anni fa con politiche adeguate e adatte ai bisogni del cittadino arginando la motorizzazione selvaggia e gli interessi di pochi.
2) Cosa si può fare oggi in Italia?
Bisogna agire su chi ha ancora paura o timore di usare la bicicletta anche se vorrebbe. Questo lo si può fare “rassicurando” con politiche a favore della mobilità debole, togliendo spazio al traffico e restituendolo ai pedoni e ai ciclisti. Come? Con provvedimenti per la riduzione della velocità sulle strade urbane e per la moderazione del traffico, nulla di strano da inventare, dando più spazi alle biciclette: non solo le piste ma corsie, parcheggi. Anche i doppi sensi quando per le auto è senso unico: ci sono in tutta Europa a parte qui, per una legge che si dovrebbe proprio cambiare, ma nessuno ci pensa. C’è una forte mancanza di attenzione per la bicicletta, in generale, a partire dal governo, da tutti i governi che negli anni si sono susseguiti, sempre più sordi.
3) Cosa potrebbe fare il governo per un paese più ciclabile? Ci sono degli esempi a cui rifarsi?
E’ scandaloso che in Italia non esiste un piano nazionale per la mobilità ciclistica. Nè nazionale, né regionale, né locale a parte qualche rara eccezione. Prima ho detto che i ciclisti sono aumentati, nelle città italiane, ma assolutamente non grazie al governo, anzi, nonostante il governo che non ha mai mosso un dito per renderci la vita facile. Ci sono delle norme da cambiare e, ancora prima, c’è da fare una chiara scelta a favore di una politica di favoreggiamento della mobilità alternativa. Scelta che Francia, Germania, Danimarca, Olanda e tanti altri hanno fatto negli anni ’70. Il ritardo da colmare è difficile, paragonarci all’Europa è deprimente, ma prima o poi bisogna iniziare.
4) Quale potrebbe essere il ruolo delle amministrazioni locali? C’è qualche modello da copiare?
Data l’assenza disarmante del governo nazionale, le amministrazioni locali dovrebbero provvedere a creare un piano regionale o comunale per la mobilità ciclistica, alcune lo hanno fatto, hanno fatto scelte decise a favore delle biciclette e i risultati si vedono. Si tratta soprattutto di città del Nord e del Centro: Bolzano, Reggio Emilia, Parma, Brescia, Ferrara, anche se è peggiorata ultimamente, e Lodi, che invece ha fatto uno sprint negli ultimi anni. Queste città hanno scelto di fare un cambiamento forte, con una scelta lungimirante a favore dei cittadini, ma sono poche quelle che hanno avuto questo coraggio.
5) Anche i privati potrebbero fare la loro parte per una Italia più ciclabile?
Ci sono paesi in cui le aziende danno delle indennità kilometriche in busta paga a chi usa la bicicletta per andare al lavoro e dove esistono flotte di bici aziendali… Ci sono tanti altri esempi da copiare ma derivano tutti da defiscalizzazioni che il governo fa alle aziende che si comportano “bene” con i ciclisti: ancora una volta deve partire tutto da una scelta decisa e lungimirante da Roma. Non si può pensare che i privati e le aziende salvino l’Italia o facciano cambiare le abitudini ai cittadini. Non funziona così. Certo, con buoni strumenti di governo, possono essere buoni alleati.
6) E le scuole? Non è forse lì che stanno crescendo gli automobilisti e i ciclisti di domani?
Le scuole, dall’asilo alle superiori, hanno un ruolo molto importante non solo per la diffusione della bicicletta ma, ancora prima e ancora più importante, per la sicurezza stradale. Che siano pedoni, automobilisti o ciclisti del domani, è necessario che oggi i giovani imparino come ci si comporta per strada. Per questo andrebbero aumentati i corsi di sicurezza stradale e incoraggiate iniziative come “Bicibus” e “Pedibus”, una sorta di Scuolabus ma senza nessun pullman, un lungo “corteo” di biciclette o di pedoni che passa a prendere tutti e porta tutti in gruppo a scuola. A Milano e in altre città esistono da anni e hanno molto successo. Sono questi piccoli interventi i più significativi.
7) Essere ciclisti in città, ogni tanto è anche pericoloso: 4 consigli per “sopravvivere”?
Farsi vedere, farsi sentire, conoscere e rispettare la segnaletica ed essere prudenti oltre il necessario. Per farsi vedere, oltre a tutti gli accessori obbligatori per legge, io consiglio di indossare pettorine o capi ad alta visibilità. Per farsi sentire un bel campanello, ma che si senta anche in mezzo al traffico, e nessuna remora nell’usarlo. Prudenza e rispetto della segnaletica sembrano due consigli banali e scontati ma non lo sono: seguire le norme alla lettera per un ciclista non basta, una pista ciclabile va saputa utilizzare, ad esempio, ci sono molti accorgimenti che si imparano con l’esperienza e con spirito di osservazione. Se un ciclista dà per scontato che, essendo su una pista ciclabile, può star tranquillo si sbaglia di grosso. Bisogna avere occhi ovunque, concentrazione ed esperienza.
Intervista a cura di Marta Abbà
GUARDA: le fotografie di Cicolobby con Aldo, Giovanni e Giacomo e Lella Costa.