Luglio 2019 passerà alla storia come uno dei mesi più caldi registrati a livello globale. Ma non solo. L’intera estate 2019 sarà ricordata per le disastrose conseguenze che le alte temperature hanno provocato nelle aree più fredde del Pianeta, devastate come non mai dagli incendi.
4,3 milioni di ettari di foresta bruciati finora. Una cifra che lascia senza fiato e che continua ad aumentare, ora dopo ora. È ciò che sta accadendo in Siberia, il cui territorio arde ininterrottamente da giorni. Un inferno di fiamme e fumo, che sembra non aver fine. Le regioni più colpite sono quelle di Krasnoyarsk e Irkutsk, a cui si aggiunge la Yakuzia, nell’estremo Nord-Est.
La superficie interessata equivale a quella di Lombardia e Piemonte messi insieme. Gli incendi hanno inoltre condotto all’emissione di più di 166 milioni di tonnellate di anidride carbonica, corrispondente indicativamente a quanto viene prodotto in un anno da 36 milioni di auto. È disastro ambientale. Uno tra i peggiori degli ultimi decenni.
L’impatto degli incendi
Tra gli effetti collaterali più gravi degli incendi che stanno distruggendo la Siberia c’è la produzione di black carbon, particelle nere che rischiano di depositarsi sul ghiaccio dell’Artico riducendo l’albedo, ovvero il suo potere riflettente. Un quadro che si tradurrebbe in un maggiore assorbimento di calore e in un conseguente aumento del riscaldamento globale. Come denunciato da Martina Borghi, della Campagna foreste di Greenpeace Italia: “Questi incendi avrebbero dovuto essere spenti immediatamente e invece sono stati ignorati. Ora la situazione è catastrofica e le conseguenze che avranno sul clima non sono una minaccia solo per la Russia, ma per l’intero Pianeta”.
A spaventare gli ambientalisti e gli scienziati del clima è anche ciò che sta accadendo nel sottosuolo. Molti degli incendi che in quest’estate rovente stanno interessando la Siberia ma anche l’Alaska, si stanno verificando su terreni di torba. Gli incendi di torba producono molto più biossido di carbonio e metano poiché provocano la combustione di elevati quantitativi di carbone, rimasto imprigionato sotto terra per centinaia o persino migliaia di anni. Con le fiamme scompaiono anche essenziali assorbitori di carbonio, che non possono essere sostituiti rapidamente.
Gli esperti del clima ipotizzano che il riscaldamento globale potrebbe causare il disgelo del permafrost artico, provocando così il rilascio di grandi quantità di gas serra immagazzinate al suo interno. Nel caso in cui gli incendi delle regioni settentrionali divenissero sempre più frequenti, la già delicata situazione risulterebbe ancora più grave. Si correrebbe il rischio di creare un circolo vizioso. Le combustioni dei terreni di torba provocherebbero maggiori emissioni, contribuendo a un aumento delle temperature, che condurrebbe a sua volta a un’accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai. Da questo incremento deriverebbero ulteriori emissioni. Un vero e proprio effetto domino, dagli esiti spaventosi.
Siberia: gli animali in fuga
Vittima indiscutibile degli incendi siberiani è anche la biodiversità locale, soprattutto sul fronte della fauna. Le aree colpite sono infatti popolate da una grande varietà di specie animali. Gli esemplari più grandi, in preda al panico e stremati, si guadagnano una via di fuga, avvicinandosi ai centri abitati in cerca di cibo e di riparo. I più piccoli, incapaci di coprire ampie distanze, cercano rifugio nelle cavità del terreno ma non sempre riescono a evitare il fumo, trovando inevitabilmente la morte in una trappola di calore e fiamme.
Immagini strazianti che non possono passare inosservate. A meno che non si abbia un cuore.