Ogni azione compiuta dall’uomo comporta degli effetti sugli ecosistemi naturali, un impatto a cui troppo spesso non viene prestata adeguata attenzione. Questo impatto, definibile con l’espressione “impatto antropico”, può essere misurato facendo riferimento al concetto di “impronta ecologica” o Ecological Footprint.
Cos’è l’impronta ecologica
L’impronta ecologica è identificabile come l’ampiezza del contenitore ambientale necessaria per produrre con continuità le risorse che servono al sostentamento di una specifica popolazione umana, oltre che a smaltire i rifiuti prodotti da quest’ultima. Il concetto di “impronta ecologica” è stato introdotto per la prima volta da Mathis Wackernagel e William Rees nel libro Our Ecological Footprint: Reducing Human Impact on the Earth, pubblicato nel 1996.
Si tratta di un indicatore di una certa complessità, che non va banalizzato. Per poter semplificare, si può sostenere che l’impronta ecologica ci permette di stimare il numero di pianeti Terra di cui necessitiamo per poter conservare l’attuale consumo di risorse naturali.
L’escalation dell’impronta ecologica
L’impronta ecologica umana è aumentata enormemente nel corso della storia. Questo processo è stato tuttavia diverso nelle differenti aree del nostro pianeta. In Bangladesh, ad esempio, l’impronta ecologica umana è inferiore a un ettaro per persona. In aree a economia emergente come le Filippine è pari a circa 2-3 ettari. L’impronta ecologica sale invece sensibilmente nella maggior parte del continente europeo, raggiungendo una quota compresa tra i 4 e i 7 ettari. L’impronta ecologica è invece massima nel Nord America, dove si spinge in talune zone fino ai 10 ettari.
Cause dell’aumento dell’impatto antropico
Tra le cause principali della crescita dell’impatto antropico rientrano senza alcun ombra di dubbio le dinamiche della demografia umana. La popolazione del pianeta è rimasta limitata per decine di migliaia di anni, aumentando in maniera esponenziale solo a seguito della Rivoluzione Industriale.
La popolazione mondiale è infatti passata dal miliardo di persone di intorno alla metà del XIX secolo ai circa 2 miliardi del 1930, fino a superare i 6 miliardi nel 2000. Allo stato attuale il tasso di crescita della popolazione umana potrebbe stabilizzarsi intorno ai 9 miliardi verso la metà del XXI secolo. È chiaro che maggiore è la popolazione, maggiore deve essere per forza di cose lo spazio dedicato alla produzione di beni e di alimenti oltre che agli insediamenti.
Un simile processo conduce inevitabilmente a un aumento dell’impatto antropico sugli ecosistemi naturali. Per rendersi conto di ciò che si sta producendo, è sufficiente pensare che oggigiorno l’uomo sottrae ai normali processi ecologici circa il 55% della produzione primaria netta. Questo significa che essa non è più disponibile negli ecosistemi naturali.
Sovrasfruttamento delle popolazioni naturali
Altro tema fondamentale quando si parla di impatto antropico e quello relativo allo sfruttamento delle risorse naturali. Rientra in questo particolare contesto il concetto di “prelievo”, che può essere correlato a diverse finalità. Esiste un prelievo destinato a fini trofici, come ad esempio quello legato alla pesca, a cui si aggiungono:
- un prelievo ai fini ricreativi, come nel caso della caccia sportiva;
- un prelievo ai fini voluttuari, come nel caso della caccia agli animali da pelliccia.
Il prelievo produce importanti effetti negativi sulle popolazioni naturali, determinandone in molti casi la rarefazione o, nella peggiore delle circostanze, persino la scomparsa.
Con il passare del tempo lo sfruttamento eccessivo delle popolazioni naturali da parte dell’essere umano è diventato sempre più pesante a causa sia della crescita demografica globale e del conseguente aumento dei consumi, sia del miglioramento riscontrato nelle tecniche di caccia, pesca e raccolta dei frutti della Terra.
Un esempio emblematico si può trovare nel sovrasfruttamento in atto nel settore della pesca. Le quantità di pescato sono cresciute in maniera costante negli ultimi decenni conducendo a un depauperamento delle risorse ittiche. A oggi si stima che almeno il 70% delle popolazioni ittiche oceaniche e marine sia esaurito, in declino o comunque enormemente impoverito.
In talune circostanze, anche la cattura accidentale di specie che non sono oggetto di pesca può rappresentare una ragione di declino. Diverse specie di pesci ma anche gli uccelli come gli albatros, oltre che di tartarughe, sono a rischio di estinzione. Ciò si deve per l’appunto al fatto che vengono catturate e uccise in maniera accidentale a causa di tecniche di pesca non idonee che le fanno rimanere attaccate agli ami o impigliate nelle reti.
Conseguenze dell’impatto antropico
Le conseguenze dell’impatto antropico sugli ecosistemi naturali possono essere devastanti. Lo sviluppo su larga scala dell’agricoltura ha ad esempio determinato una costante ricerca di terreni adatti alla coltivazione. Ciò ha condotto a una inevitabile accelerazione del processo naturale di desertificazione.
Le coltivazioni combinate alla necessità di terreni per allevamenti di tipo intensivo hanno inoltre accresciuto in maniera esponenziale la deforestazione a livello globale, con tragiche conseguenze per la biodiversità.
Altra conseguenza del crescente impatto antropico si ha nell’inquinamento di suolo, acqua e atmosfera.
La Terra non è inesauribile
Si stima che quasi 60% dell’impatto antropico sia legato alle emissioni di carbonio in atmosfera. Ciò sta modificando l’evoluzione della vita sul nostro pianeta determinando l’ormai noto fenomeno del surriscaldamento globale da cui derivano in maniera indissolubile i cambiamenti climatici attualmente in corso.
Senza un cambio di rotta la nostra stessa civiltà è a rischio. In base a quanto calcolato, andando avanti a questi ritmi, nel 2050 l’umanità potrebbe consumare tre volte la capacità ecologica del pianeta, ossia ben tre Terre. Una simile ipotesi è per ovvi motivi fisicamente impossibile.
Cosa si può fare per correre ai ripari? Il primo passo consiste in un cambio radicale di cultura. Per millenni l’umanità ha creduto che il nostro pianeta fosse inesauribile e che si potesse sfruttarlo in maniera illimitata. Prendere coscienza del fatto che la Terra è una risorsa esauribile costituisce quindi il primo passo cruciale da mettere in atto.
Occorre poi procedere con un vero e proprio ripensamento dell’economia. Il paradigma deve mutare, ripensando l’economia in modo che si tenga conto anche dell’ambiente. Nessuno è escluso dalla rivoluzione o ri-evoluzione che bisogna necessariamente intraprendere. Ogni amministratore, ogni Governo, ogni industria, ogni singolo cittadino deve impegnarsi in prima linea per ridurre il proprio impatto antropico. Ne vale il futuro del pianeta e della stessa umanità.