Idrogeno, primo elemento della tavola periodica che nella sua essenzialità contiene molte complessità. E molte risorse, spunti e misteri che la ricerca sta ancora sudando per scoprire. Altri sono stati svelati e hanno aperto interessanti frontiere, spesso verso un mondo più sostenibile.
Come elemento, in circostanze normali è un gas incolore ed insapore, formato da molecole diatomiche (H2), è stato notato molto tempo fa ma a riconoscerlo come gas unico è arrivato Robert Boyle nel 1671, dissolvendo il ferro in acido idrocloridrico diluito.
L’idrogeno ci circonda e ci perseguita: è uno dei principali costituenti dell’acqua e di tutta la materia organica, non solo ne è piena la Terra, ma anche l’intero universo. Dei suoi tre isotopi, quello onnipresente o quasi (>99%) è il protio, con massa 1, poi ci sono il deuterio, con massa 2, il trizio, con massa 3, che è molto raro in natura ma può essere sbucare da reazioni legate alla produzione di energia nucleare. Tra tutte le sostanze conosciute, l’idrogeno è la più infiammabile, risulta leggermente più solubile in solventi organici che in acqua, inoltre viene assorbito da molti metalli.
Idrogeno: utilizzi principali
Il principale e più importante “ruolo” giocato oggi nel mondo dall‘idrogeno è nella sintesi dell’ammoniaca, ma il suo utilizzo molto rapidamente si sta estendendo alla raffinazione di combustibile, alla scissione dell’idrogeno (idrocracking) e all’eliminazione dello zolfo.
Dando una occhiata alle quantità di idrogeno che vengono consumate, sono enormi quelle che finiscono nei processi finalizzati alla fabbricazione di prodotti chimici organici. Lo stesso vale per quelle che lo vedono alla base di combustibili per i razzi, insieme ad ossigeno o fluoro, e come propellente per i razzi azionati dall’energia nucleare. L‘idrogeno, infatti, pare che si presti bene ad essere utilizzato come combustibile o nelle celle a combustibile ma ambisce anche a diventare una importante fonte alternativa di carburante.
Se si vuole avere l’idrogeno naturale, è necessario estrarlo da sostanze che lo contengono, con conseguente , e molto abbondante, consumo di energia. Ecco perché non è una fonte primaria di energia ma un “vettore energetico“. Così sono chiamate non come il gas naturale, il petrolio o il carbone che si trovano direttamente in natura, ma quelle che vanno “cavate fuori”.
Questo non vuole affatto dire che l’idrogeno sia inutile in campo energetico, anzi allo stato gassoso è un buon combustibile: bruciandolo produce una quantità di calore che è 2,6 volte superiore rispetto a quella prodotta allo stesso modo ma con il metano. Inoltre l’idrogeno può essere convertito in e da elettricità, da bio-carburanti, da e in gas naturale e carburante diesel, in teoria senza che siano emessi CO2 e agenti chimici tossici. Mica male come idea, come previsione, come obiettivo.
L’idrogeno solforato
Lo conoscerete come acido solfidrico e se non vi viene in mente qual è, è quello che odora di uovo marcio ed è il responsabile della puzza che emanano le feci e le flatulenze. Umane e non. E’ lui, è l’idrogeno solforato, un gas incolore a temperatura ambiente, la sua formula chimica è H2S, è solubile in acqua e in etanolo, è estremamente velenoso e fino ad essere mortale se l’esposizione è prolungata.
Troviamo l’idrogeno solforato, prodotto quando i batteri decompongono proteine contenenti zolfo, nei gas di palude, nel petrolio greggio e nel gas naturale ma non solo. Ci sono infatti attività industriali nel settore alimentare, ma anche non (depurazione delle acque tramite fanghi, produzione di coke, concia dei pellami e raffinazione del petrolio) che lo hanno tra i propri sottoprodotti. Oltre ad aggredire noi esseri umani, l‘idrogeno solforato è feroce anche con un metallo belo come l’argento coprendolo con una patina nera di solfuro d’argento.
E’ decisamente un veleno, l’idrogeno solforato e, tornando a noi, quando è ad alte concentrazioni, è infido: paralizza il nervo olfattivo e non riusciamo più a sentirne la puzza, e possiamo svenire in pochi minuti. Quando l’esposizione è a livelli più bassi avvertiamo irritazione agli occhi e alla gola, tosse, accelerazione del respiro e formazione di fluido nelle vie respiratorie, ma se insistiamo nel tempo, l’idrogeno solforato ci causa affaticamento, perdita dell’appetito, mal di testa, disturbi della memoria e confusione.
Dando qualche numero, per regolarci, il limite di esposizione senza danni 8 ore al giorno è meno di 10 ppm, se andiamo oltre già ci bruciano gli occhi e via via fa danni anche all’apparato respiratorio e al sistema nervoso, fino ad arrivare al rischio di immediato collasso con soffocamento, “anche dopo un singolo respiro”. Avviene a concentrazioni di oltre 1000 ppm, è bene saperlo, ma siamo generalmente ben lontani da tali numeri, tanto da poter leggere una curiosità storica. Questo collasso immediato è chiamato anche “colpo di piombo dei bottinai” perché le vittime erano soprattutto gli addetti alle botti utilizzate nella concia delle pelli. ). Prima della soglia 1000, segniamoci quella di 800 ppm: è la concentrazione mortale per il 50% degli esseri umani per 5 minuti di esposizione.
Idrogeno liquido
Se lo si raffredda alla temperatura di –253 gradi centigradi, l’idrogeno diventa liquido, smette di reagire chimicamente con i metalli diventando così più facilmente trasportabile poiché non intacca le tubature metalliche utilizzate. Altro motivo per trasportarlo come idrogeno liquido è il volume occupato, minore rispetto al metano.
Sembra tutto bello semplice e conveniente ma vanno considerate alcune difficoltà come l’enorme quantità di energia necessaria per mantenere i -253 gradi centigradi necessari perché sia idrogeno liquido. Ad oggi ci sono ancora problemi anche legati alla sicurezza ma l’accumulo di idrogeno liquido resta la tecnologia “preferita” per le esigenze specifiche ad esempio dell’autotrazione. Anche nella propulsione aeronautica e spaziale come combustibile per razzi e vettori spaziali è l’idrogeno liquido quello utilizzato, lo troviamo anche nel campo della ricerca criogenica e nei suoi studi sulla superconduttività.
Idrogeno come carburante per auto
L’idrogeno ha molto successo, e risvolti green, anche quando usato nelle pile a combustibile (pile costituite da due elettrodi separati da un elettrolita). Il lato green è la scarsa se non nulla formazione di ossidi di azoto, (NOx) che non fanno molto bene né a noi, né ai nostri polmoni, né al pianeta tutto.
Il mondo dei trasporti ha messo da tempo l’occhio su questo elemento della tavola periodica posto all’inizio, e non per pigrizia nell’andare avanti: ci sono ragioni ben più valide e remunerative. Il settore aereo, volando alto anche con la mente, da decenni utilizza volentieri l’idrogeno, principalmente per convenienze legate al peso. Anche “grazie” alle sempre più pressanti problematiche ambientali, si è mosso anche il trasporto su gomma, ultimamente in modo convinto anche se già nei primi anni ’70 il torinese Massimiliano Longo aveva sviluppato un sistema per utilizzare l’idrogeno nelle auto.
L’idrogeno come carburante per auto, cioè come combustibile per motori a combustione interna inseriti nelle vetture, lo abbiamo raccontato in questo articolo dedicato, che risponderà a tutte le vostre curiosità: “Idrogeno per auto: le domande più comuni“.
Il bello, il green, il futuro e anche già un po’ il presente di tutto ciò è che, con l’idrogeno utilizzato nelle pile a combustibile, si può ottenere energia sotto forma di elettricità (dall’ossidazione dell’idrogeno) senza combustione diretta e ottenendo una maggiore efficienza. Questo, abbinato al fatto che è possibile produrre idrogeno da fonti rinnovabili, ci regala una valida alternativa pulita agli attuali motori a combustione interna alimentati da fonti fossili.
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