Dare valore ai rifiuti e dimostrare che ci si può divertire con poco: ecco perchè Gabriele Saluci, con l’amico Lorenzo Fracastoro, ha deciso di costruire Postiki, un catamarano fatto di bottiglie di plastica e materiale da riciclo, per navigare sul Po. E chiedere: perché non possiamo avere semplicemente la libertà di goderci un bel fiume? Il piccolo gioiello nautico tutto eco-sostenibile di Gabriele e Lorenzo sarà esposto all’Ecomuseo di Torino.
1) Chi siete? E come vi è venuto in mente Postiki?
Siamo Gabriele Saluci e Lorenzo Fracastoro. Io, Gabriele, sono un filmaker e viaggiatore, Lorenzo è un naturalista. Siamo tutti e due amanti della natura e dell’avventura. L’idea che sta dietro il Postiki è senz’altro quella di fare qualcosa che ci divertisse e che desse un forte messaggio a chi veniva a contatto con l’impresa. Si ha sempre più il sentimento che di questi tempi post industriali il divertimento sano sia una cosa sempre più lontana e irraggiungibile, siamo circondati da tecnologia e i ritmi diventano sempre più frenetici: per divertirsi bisogna sempre finire negli eccessi. Abbiamo voluto far vedere che è possibile fare qualcosa di eccezionale con dei rifiuti e che per divertirsi basta poco.
Il messaggio principale però, quello vero, è riuscire a dare valore ai rifiuti, soprattutto alla plastica. La cittadinanza torinese in quanto a raccolta differenziata è abbastanza diligente ma la media nazionale non è così alta, ci sono zone d’Italia dove il concetto di riciclaggio è ancora molto distante, soprattutto perché non sono offerti i servizi. Devo dire che nonostante a Torino ci sia molto impegno gli errori che si compiono nella differenziata sono ancora tanti e lo spreco è ancora alto. La plastica delle bottiglie può avere nuova vita: costruire un catamarano è una metafora più che un esempio ma per far arrivare a tutti il messaggio bisogna far qualcosa che resti impresso per via della sua particolarità.
2) Come è fatto il catamarano e quanto materiale avete utilizzato?
Il catamarano è costituito da quattro tubi dal diametro di circa 60 cm lunghi 1,5 m e legati a due sulle facce. È quindi una struttura lunga 2.10 m e larga 1,5 m. Il secondo gruppo di tubi è distanziato per dare più spazio sulla superficie calpestabile e più stabilità. I tubi sono strutture di rete metallica recuperata, di quella per le recinzioni. La struttura è tenuta assieme da travi di legno, anch’esse da recupero. Il piccolo catamarano sarà a breve esposto all’Ecomuseo di Torino per cui è visibile anche non digitalmente.
Per riempire i tubi sono stati usati più di 700 contenitori di plastica di varie forme e dimensioni: dai flaconi di detersivo alle bottigliette d’acqua da mezzo litro che abbiamo raccolto da dei locali che ce le tenevano gentilmente da parte. Abbiamo ottenuto una spinta di galleggiamento pari a 350Kg per cui si poteva stare benissimo anche in 4 o 6, forse abbiamo anche esagerato con le dimensioni.
3) Quanto tempo e quanti soldi vi è costata questa avventura?
Non abbiamo speso più di un paio di decine di euro per viteria e fil di ferro; il resto del materiale è materiale recuperato. Nella costruzione della barca ci ha aiutato l’architetto Claudio Perino che aveva più competenze tecniche di noi e tutti gli strumenti necessari. In due ci abbiamo impiegato due mezze giornate di lavoro. Molto divertenti.
4) Come ha commentato la gente che vi ha visto? Che reazioni suscitano i vostri video?
Il progetto ha avuto un impatto mediatico abbastanza elevato: è stato pubblicato da numerosi siti e giornali online, in prima pagina, ottenendo complessivamente nella giornata in cui è stato pubblicato circa 20.000 click. I video di questo tipo di imprese, inoltre, grazie ai social network possono avere molta visibilità. In questo caso il video è stato condiviso da circa 2.000 persone. Il video che ho girato è molto breve, serve a dare l’idea di quello che è stato fatto nel modo più “cool” possibile, anche se per il montaggio del video avevo solo qualche ora. Ho usato il termine cool e ho voluto dare tale impronta al progetto perché, come dicevo all’inizio, per questo tipo di progetto è necessario usare uno stile che colpisce.
5) Come sta il fiume Po da quanto avete visto dal vostro catamarano?
Non si può dire che il Po non sia inquinato e sporco. Come tutti i fiumi di pari dimensioni, purtroppo. Non è navigando sulla sua superficie che questo si vede, ma l’inquinamento c’è ed è dovuto per prima causa agli scarichi di sostanze organiche delle città e agli allevamenti e alle industrie. La decomposizione delle sostanze organiche che vengono scaricate nel fiume consuma l’ossigeno nell’acqua uccidendo a volte la fauna e distruggendo il naturale equilibrio. Tuttavia non avevamo paura di cadere a mollo. Non sarebbe stata di certo la prima volta per noi tuffarci nel Po, la cosa non è così sconvolgente come sembra ne è particolarmente pericolosa, ma quello dell’inquinamento è un fenomeno da dover combattere. Anzi, sono questi i casi in cui è più chiaro il motivo per cui bisogna combattere l’inquinamento. A volte sembra una cosa lontana dalla vita quotidiana ma in realtà è proprio sotto i nostri occhi: perché non possiamo avere semplicemente la libertà di goderci un bel fiume?
6) Quali altre imprese simili avete realizzato?
Questa è la prima impresa del genere. In inverno ci siamo fatti conoscere un po’ per aver costruito un igloo in Piazza Vittorio, sempre a Torino, nei giorni della tormenta di neve. L’idea quella volta era un po’ più poetica. Siamo stati svegli tutta la notte a costruire il rifugio modello eschimese tagliando, modellando e assemblando mattoni di ghiaccio. Faceva freddo ma il divertimento – e la fatica – anche quella volta ci hanno scaldato.
7) Qualche indiscrezione sulle prossime?
Per il momento non abbiamo niente di simile in cantiere, almeno non nell’immediato: Lorenzo lavora a Yellowstone nel parco naturale e io partirò a breve da Torino in bici alla volta del deserto del Sahara per girare il mio secondo documentario. C’è però l’intenzione di volare; avevamo detto che la prossima volta saremmo stati in cielo. Sarà un progetto più impegnativo che però non richiederà l’utilizzo di contenitori di plastica ma purtroppo non potrà prendere vita prima di un anno.
Intervista a cura di Marta Abbà