Accade per i prodotti alla spina, accade per molte altre abitudini che tornano di moda con la targhetta “cool”, magari con indicate con un termine inglese, ma non sono che un revival di consuetudini che avevano i nostri antenati e che reputavano del tutto naturali e ordinarie, oltre che sane e convenienti.
Noi oggi invece vi dedichiamo articoli e la poniamo come fosse una moda. Se ciò serve per diffondere maggiormente buone pratiche, ben venga, ma ciò che vogliamo fare qui ora è puntare l’attenzione sui reali benefici che il foraging porta con sé. E spiegare di cosa si tratta a chi non ha mai sentito questo termine prima d’ora.
Cosa è il Foraging
Ciò che indichiamo con questa parola inglese, decisamente molto trendy, in italiano viene chiamata “alimurgia” che significa letteralmente scienza che studia l’utilizzo nel cibo selvatico in cucina soprattutto nei momenti di carestia e povertà. In questa sintetica definizione c’è tutto il significato di questa pratica valida tuttora e non solo nei momenti di penuria di cibo. Come vedremo ci sono dei vantaggi anche psicologici e sociali nel raccogliere cibo selvatico per utilizzarlo in cucina che rendono il foraging una quasi terapia o, per lo meno, una occasione per restare in contatto con la natura, un bisogno che abbiamo tutti, al di là del nostro reddito.
Se andiamo indietro con gli anni, troviamo uomini e donne abituati a girare per la campagna in cerca di rughetta, cicoria selvatica e tarassaco per preparare una ricca insalata. Con gli anni queste piante da utili ingredienti sono passati ad essere considerati “erbacce”, un grandissimo spreco che è durato molto ma a cui oggi possiamo porre termine. Dandoci all’alimurgia.
Fino all’avvento dell’industrializzazione a fine Ottocento i nostri pasti di ogni giorno erano tra il 70 e l’80% selvatico, nelle campagne, anche in quelle che oggi sono occupate da grandi metropoli come Milano. Oggi non è affatto così. Non ha aiutato il proliferare di verdure e frutta già pronti, lavati e confezionati, pronti all’uso, nei tanti supermercati, aperti tutte le ore, comodi e affascinanti. E’ stato facile scivolare nella consuetudine di non chiedersi più dove procurarsi il proprio cibo, anche se avvolti dalla natura.
Fortunatamente, grazie a tradizioni come quelle nordiche, influenzate dalla forte vicinanza del bosco, oggi è in tutto il mondo tornata di moda l’arte del raccogliere foglie, piante e frutti per sfamarsi. E’ ancora difficile che si riesca a campare solo raccogliendo piante selvagge, per ora questi ingredienti sono presenti una volta ogni tanto nei piatti ma stiamo cominciando a cambiare mentalità. Ci sono poi alcuni chef che ne fanno uno strumento di marketing e mirano ad acquisire fama proprio grazie all’utilizzo di licheni, bacche e cortecce.
Come funziona il Foraging
Oggi è chiaro che non abbiamo a disposizione tutto il verde di una volta, è come se avessero dimezzato le corsie del nostro supermercato naturale, se non di più, quindi non possiamo pretendere di tornare alle consuetudini delle nostre nonne come nulla fosse senza tenere conto di come il Pianeta Terra è cambiato. Di come lo abbiamo fatto cambiare.
Ciò non toglie che in alcune aree, anche in Europa, soprattutto al Nord, è ancora possibile raccogliere frutti e piante selvatiche passeggiando nei pressi delle spiagge. Con il bottino 100% naturale si possono poi preparare gustosi piatti. Tra gli ingredienti che oggi possiamo trovare ci sono ad esempio alcuni fiori colorati, pratoline, fiori di acacia e foglie di acetosella. Mentre raccogliamo, possiamo prendere familiarità anche con gli odori, per imparare a riconoscerli e apprezzarli, visto che per noi molto probabilmente è tutto nuovo.
Vantaggi del Foraging
Abbiamo già in parte anticipato alcuni benefici legati al foraging. Quello economico non è certo il primo della lista perché per ora la quantità di cibo che siamo in grado di procurarci in un ambiente selvatico è in media minima rispetto alle dosi che ingeriamo quotidianamente. Il risparmio non può essere certo la prima leva per iniziare a raccogliere.
Più immediati sono i benefici che derivano dal contatto con la natura che questa pratica di costringe a prendere. Eccoci quindi pronti ad imparare le tipologie di piante che troviamo lungo il nostro cammino, a distinguere le foglie e i fiori, a chiederci se sono commestibili e come possono essere serviti in tavola. Anche se l’impatto non è forte, c’è comunque un vantaggio legato alla salute perché questa voglia di natura ci porta a rendere più salutare il nostro regime alimentare e recuperare un po’ il concetto di “procurarsi gli ingredienti per mettere in piedi un pranzo” invece di scongelarlo oppure ordinarlo per farselo portare a domicilio.
Foraging: alberi e fiori
Se vi pare strana l’idea di poter mangiare gli alberi, e non solo i loro frutti, ecco qualche esempio per comprendere che non c’è nulla di innaturale, anzi! Tra le piante più utilizzate in tal senso troviamo il tiglio, la betulla, l’abete rosso, il faggio. Possiamo mangiarne le foglie ma anche la linfa e la corteccia che risultano avere un sapore gradevole.
Forse con i fiori è un po’ più semplice superare i preconcetti perché spesso profumano. Li possiamo mettere nelle insalate e in alcuni dolci, oltre che in qualsiasi piatto come decorazioni. Tra i fiori più richiesti ci sono i nasturzi o anche i fiori di acacia e le margheritine.
Libro sul Foraging
Per chi ha voglia di approfondire, ecco un testo molto interessante e aggiornato, facile da consultare e con indicazioni pratiche per iniziare subito. “Imparare l’arte del foraging. Conoscere, raccogliere, consumare il cibo selvatico” di Valeria Margherita Mosca.
Per vedere alcune foto di una nostra esperienza di Foraging accompagnati proprio da Valeria Margherita Mosca potete leggere l’articolo: Foraging e Sostenibilità al Respect Food Day Grundig.