Economia comportamentale, ha fatto titolo per via del premio Nobel recente, ma pochi sapevano cosa fosse prima e forse, purtroppo, molti se ne dimenticheranno con il tempo. Si tratta invece di una branca importante che ci ricorda che siamo umani, imprevedibili e non sempre ragionevoli. Questo anche quando compriamo, investiamo e decidiamo come utilizzare i nostri risparmi.
Economia comportamentale: definizione
L’economia comportamentale descrive i fenomeni finanziari in un modo particolare, ovvero applicando dei principi che prende in prestito dalla psicologia. In un certo senso contamina con un po’ di umanità quelle che sono delle rigide leggi di mercato rendendole più autentiche ed aderenti alla realtà. Ci sono infatti dei fattori meramente umani, e difficili da codificare in equazioni, che però influenzano, e anche sistematicamente, le decisioni individuali e gli esiti del mercato.
Economia comportamentale: libri
Il libro che apre le porta, e la mente, a questa branca di scienza, si intitola proprio “Economia comportamentale” ed è una “Guida alla teoria della scelta” scritta da Erik Angner, su Amazon lo trovate a 30 euro. Sfogliandolo si passano in rassegna le 6 parti, ciascuna delle quali affronta uno specifico argomento di teoria della scelta.
E’ un testo serio ma leggibile anche da chi non è laureato in economia, ci sono esempi concreti e interessanti, che fanno riflettere e allargano gli orizzonti, quindi è perfetto anche per chi è interessato a saperne di più sulla Behavioral Economics.
Economia comportamentale: esempi
L’economia comportamentale è riuscita a cambiare le mentalità di alcune realtà che hanno capito come fosse inevitabile tener conto del fattore umano per far tornare i conti. Ci sono atteggiamenti psicologici che influenzano l’economia e sono leggi di mercato più potenti che quelle teoriche.
Ad esempio spesso desideriamo risparmiare per la vecchiaia, oppure di fronte ad alcuni eventi prediamo la capacità di autocontrollo, possiamo appassionarci alla vita sana oppure investire il tutto per tutto in un solo settore a seguito di un disastro o di una disgrazia. Studiare economia comportamentale significa anche come stimolare i cittadini a fare delle scelte consapevoli e positive come ad esempio risparmiare energia e riciclare i rifiuti.
Economia comportamentale e cognitiva
Affianco alla comportamentale, troviamo l’economia cognitiva, branca dell’economia nata sempre di recente dopo l’attribuzione del premio Nobel per l’economia a Vernon Smith e a Kahneman nel 2003. Anche in questo caso si tratta di addolcire con un tocco di umanità quelli che da sempre sono stati rigidi modelli teorici ben lontano dalla realtà dei fatti.
Ad esempio studiando economia cognitiva si comprende che il livello di soddisfazione raggiunto dall’operatore economico non dipende dalla quantità assoluta del bene posseduto, ma spesso piuttosto dalla differenza tra una condizione iniziale e una finale. Sembra banale, a dirsi, ma prima non era una evidenza codificata e si finiva per non tenerne conto del tutto, per questo è stata necessaria una rivoluzione delle teorie tradizionali ormai andate in pensione.
Economia comportamentale: università
Ormai sia l’economia comportamentale, sia quella cognitiva, sono insegnate nei corsi universitari che contemplano lo studio dell’economia, spesso anche in quelli di psicologia, anche se non tra le materie obbligatorie. Il premio Nobel ha di certo aiutato questa branca di economia ad essere accettata anche dagli atenei più tradizionalisti.
Economia comportamentale: premio Nobel
E’ l’economista statunitense Richard H. Thaler, della Chicago University, ad essersi aggiudicato il premio Nobel nel 2017 per gli studi che hanno rivoluzionato la teoria economica standard, troppo rigida e lontana dalla realtà.
Thaler ci sprona infatti ad osservare le scelte dei singoli e di come esse sono irrazionali. In generale si nota infatti che le persone tendono a semplificare le decisioni in ambito finanziario, fanno ragionamenti isolati e non valutano gli effetti della singola scelta sul panorama generale. Ciò che accade è che si tende a dare valore ad un bene a seconda che sia in nostro possesso oppure no, questo perché abbiamo una “naturale avversione alla perdita”.
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