Economia Circolare: definizione ed esempi

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Economia Circolare: definizione ed esempi – Il modello di crescita economica che ha caratterizzato gli ultimi 150 anni di storia, si definisce “economia lineare”, un’economia industriale, di mercato, basata sull’estrazione di materie prime sempre nuove, sul consumo di massa e sulla produzione di scarto una volta raggiunta la fine della vita del prodotto. Si potrebbe dire un’economia dalla culla alla bara per le grandi masse.

Questo flusso di estrazione e dismissione di materia ha causato effetti ambientali dannosi come la contaminazione dei mari e della terra, il dramma dei rifiuti, le emissioni di gas serra responsabili del cambiamento climatico, guerre sanguinose per il controllo delle materie prime, forte diseguaglianza sociale.

Per elaborare un modello di sviluppo alternativo all’economia lineare, pensatori illustri come l’architetto Walter Stahel, il fisico Amory Lovins, la biologa Janine Benyus, i designer McDonough e Braungart, l’economista Nicholas Georgescu-Roegen, hanno elaborato modalità alternative per fermare lo spreco di materia, l’inquinamento da fonti fossili, promuovendo la produzione efficiente, il riciclo, l’eco-design, le energie e fonti rinnovabili, prendendo spunto dai cicli naturali.

Il risultato di tutti questi anni di ricerche e sperimentazioni per un mondo più sostenibile è confluito nel concetto di economia circolare, ovvero un modello di economia che riduce ed elimina lo scarto, differenzia le fonti di approvvigionamento di materia e la fa vivere più a lungo, massimizzando il valore d’uso i prodotti di consumo.

Economia Circolare: definizione

Come illustrato nel libro Che cosa è l’economia circolare di Emanuele Bompan con Ilaria Nicoletta Brambilla, la definizione classica di economia circolare è quella di «un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati a essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera». Una definizione che proviene dal lavoro della Ellen MacArthur Foundation, una delle realtà più attive nella promozione di questo modello di sviluppo, finanziata dalla velista Ellen MacArthur e sostenuta da colossi del mondo industriale come Google, H&M, IKEA, Banca Intesa, Renault, Pulips e dal Forum Economico Mondiale.

Tre principi per definire l’economia circolare

Per meglio capire come si articola l’economia circolare bisogna innanzitutto spiegare quali sono i tre pilastri su cui è fondata.

1) Il primo fondamento è quello di riscoprire i giacimenti di materia scartata come fonte di materia, limitando quanto possibile il processamento. Si tratta dunque di prendere tutto quello che buttiamo, sia nel privato che nel mondo industriale e reintrodurlo in cicli di produzione. Come in natura, dove nulla viene sprecato e ogni scarto diventa elemento nutriente di un altro organismo, lo stesso deve accadere nella produzione, dall’agricoltura all’industria attraverso riciclo, riuso, gestione degli output produttivi, rigenerazione. Tutte pratiche fondamentali per trasformare lo scarto in “materia prima seconda”.

Il luogo di eccellenza per “l’estrazione” di questa materia prima seconda sono le città che diventano nuovi giacimenti (urbani) dove attingere per produrre nuovi beni materiali. Quando guardate ai bidoni della raccolta differenziata, nell’economia circolare, non dovete più pensare al concetto di “rifiuto” ma ad un sistema di estrazione di materia di cui voi siete i minatori inconsapevoli.

Vediamo alcuni esempi. Al di là del classico riciclo di plastica, carta e vetro, oggi ci sono “riciclerie” centri di recupero rifiuti che ospitano artigiani e artisti che riadattano e riusano materiali scartati per farne oggetti nuovi e venderli. In Italia sono noti il centro di Ri-Uso di Capannori e il C.R.E.A., il Centro Riuso ed Educazione Ambientale di Pergine Valsugana, in Trentino.

Nei casi più virtuosi di riciclo si deve parlare di “upcycle”, ovvero quando lo scarto assume un valore come nuova materia superiore a quello del prodotto nella vita precedente. Gli esempi di upcycle nell’economia circolare non mancano.

Aquafil, produttori di filati di nylon, hanno progettato Econyl, un sistema per valorizzare il nylon di scarto. Econyl consente di usare la poliammide 6 o Nylon 6 post-industriale o proveniente da rifiuti post-consumo per fabbricare nuovo Nylon 6 migliorandone la qualità. La chiave del successo è il programma Reclaiming, uno strumento per favorire una catena di fornitura inversa e garantire ingressi materiali affidabili. Da un lato il filamento arriva da moquette disassemblate. Dall’altro la compagnia di Arco (TN), insieme a Interface di Atlanta, USA, ha realizzato un progetto per ottenere nylon dalle vecchie reti da pesca, istituendo de facto una filiera inversa che prende un prodotto di mediocre qualità, come le reti per lo strascico usate, e lo trasforma in filo sintetico per la nuova collezione di moquette di grande stile vendute dall’americana Interface.

Non c’è economia circolare senza energia rinnovabile e circolare, anche e soprattutto quella legata ai trasporti. NextChem, società del Gruppo Maire Tecnimont nata per innovare il settore energetico, ha costruito uno dei modelli più interessanti di intervento integrato, il “distretto circolare verde”. Il distretto circolare verde ha l’obiettivo di impiegare tecnologie di chimica verde per realizzare prodotti chimici e carburanti low carbon (come idrogeno, metanolo, etanolo), sfruttando scarti altrimenti inutilizzati e riqualificando vecchi impianti petrolchimici e chimici in un’ottica 100% circolare.

Altro esempio di economia circolare virtuoso: una start-up di Rovereto, la Eco-Sistemi, insediata dentro Progetto Manifattura, l’hub della green e circular economy, impiega vecchi tappi delle bottiglie di plastica come carrier negli impianti di depurazione acque, ovvero come “casette” per i batteri che si mangiano lo sporco negli impianti di depurazione.

Dal punto di vista organico gli scarti agricoli/alimentari sono una vera miniera d’oro, tutta da sfruttare. Vegea srl oggi realizza una pelle vegetale, Wineleather, ricavata interamente dalle vinacce esauste; Ricehouse organizza la filiera delle materie seconde della coltivazione del riso per creare nuovi materiali per l’edilizia, come intonaci, pitture e pannelli; NU-OVUM, realizza una bio-plastica che impiega le migliaia di tonnellate di scarti di gusci d’uovo che ogni anno si producono in Italia, così come Eggplant, che la bio-plastica la produce a partire dalle acque reflue della filiera casearia in Puglia. Ma gli esempi sono centinaia.

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Economia circolare: schema – Fonte: Parlamento Europeo

2) Il secondo principio è legato alla fine dello spreco d’uso del prodotto (unused value), prima ancora di essere scartato. Magazzini colmi di macchinari in attesa di essere dismessi, scatoloni in cantina pieni di vestiti con scarso valore affettivo inutilizzati, oggetti comprati e usati una volta l’anno. Un ammortamento inutile di assets il cui valore non è fatto fruttare.

Guardatevi intorno a voi con nuovi occhi e vedrete quanta materia che giace inerte, sprecata, prima di essere definitivamente buttata, dopo non essere stata usata. Tralasciate magari il peluche, abbandonato, nell’armadio dei ricordi dell’infanzia. Quasi tutto il resto è spreco di materia. La soluzione? Condividere con altri consumatori e creare processi commerciali dove invece di possedere un oggetto lo si usa come servizio (in inglese si chiama Product-as-a-service).

Esempi di economia circolare, di prodotto come servizio sono davanti a tutti. Un esempio classico usato nella letteratura è quello del car-sharing. Un’auto di proprietà viene usata per circa il 4% del suo tempo-vita. Le auto e scooter condivise da servizi come Enjoy, ZigZag, Car2Go, SharenGo invece vengono usate per oltre il 45% del loro tempo vita. Società come Toyota offrono sistemi di leasing a breve tempo, con possibilità di restituzione o acquisto del mezzo. Fablab come l’italiano Witlab o negozi di tool-sharing (condivisione strumenti) come i toscani Toolsharing.com o la londinese Library of Things (biblioteca delle cose) condividono attrezzature tech e hardware, dalle stampanti 3D e laser alle motoseghe, trapani o persino ruspe. Si paga a consumo e in aggiunta ci sono servizi aggiuntivi di assistenza e progettazione.

Michelin offre pneumatici in forma di “prodotto-come-servizio”. Grazie a Michelin Solution è possibile prendere in leasing, con un accordo di performance, le gomme. Dal 2011 Michelin Fleet Solutions ha contrattualizzato oltre 300mila veicoli in oltre 20 paesi europei. Non cedendo il prodotto, e quindi mantenendo pieno controllo sulle proprie gomme, Michelin può ritirarle in ogni momento quando si stanno per usurare in maniera critica, estendendo così la propria validità tecnica attraverso la ricostruzione o riscolpitura per la rivendita.

Philips offre un altro esempio interessante, introducendo il “prodotto-come-servizio” per l’illuminazione. La compagnia ha adottato il sistema di leasing: in questo modo Philips rimane proprietaria del prodotto, i clienti non devono pagare il prezzo pieno all’acquisto, massimizzando la gestione del fine vita delle luminarie. Allo stesso tempo i clienti si possono garantire i migliori prodotti, con ottime performance di consumo e di efficienza, minimizzando l’impronta ecologica della materia.

3) Il terzo principio è fermare la morte prematura della materia. Sebbene riciclo e riuso siano strategie fondamentali di recupero della materia, spesso condanniamo a morte – cioè alla dismissione – materia perfettamente sana. Spesso a rompersi o guastarsi è solo una parte di un oggetto, mentre le restanti componenti rimangono perfettamente funzionanti. Oppure è la moda a dichiarare morto un vestito o un oggetto di design. Riparare, upgradare, rivedere le pratiche di obsolescenza programmata, essere fuori dalle mode, sono strategie auspicabili per fermare questo scempio di materia.

Fairphone ad esempio è il primo telefono che è stato disegnato per garantire longevità e riparabilità del prodotto per massimizzare la vita media del prodotto e permettere agli acquirenti di avere un controllo totale sulle modifiche, upgrade e riparazioni. Invece che cambiare cellulare quando volete una fotocamera o un processore più performante potete cambiare solo un pezzo. È facile da riparare ed è disegnato per essere facilmente disassemblato a fine vita. In alternativa, anche grandi aziende come Dell, Dyson, HP e Lenovo allungano la vita dei loro prodotti attraverso il ricondizionamento dei loro apparecchi, che vengono venduti su siti web outlet dedicati.

Patagonia, il noto produttore di vestiti sportivi, ha lanciato un progetto che si chiama Worn Wear promuove in tutto il mondo la filosofia “riparare è bello”, dismettendo l’adagio “comprarlo nuovo costa meno. Nei negozi e ad eventi dedicati si può ricevere assistenza gratuita per la riparazione. Il semplice gesto di far durare più a lungo i capi che indossiamo, avendone cura e riparandoli quando necessario, consente di non doverne acquistare di nuovi, evitando così di generare le emissioni di CO2, la produzione di scarti e di rifiuti, e il consumo di acqua associati ai cicli produttivi del settore tessile.

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di Emanuele Bompan