Spesso si è parlato di come la salute dell’ambiente ha influito sulla diffusione del coronavirus ma è il momento di parlare del processo inverso, di come la pandemia sta impattando sull’ambiente, chiedendoci anche dove buttare le mascherine. Una cosa è certa, non per terra, anche se in molti sembra che abbiano dimenticato le regole base di civiltà quando per strada gettano queste protezioni come se, in tempi di COVID-19, tutto sia permesso e la Terra non ne risentisse.
Diamo a tutti, anche ai maleducati, il beneficio del dubbio, facciamo un passo indietro e spieghiamo come vanno trattati questi tipi di materiali, in modo da non lasciare alibi, d’ora in poi, a chi sceglie a questo punto di inquinare l’ambiente fregandosene di tutti coloro che di abitano con lui.
Utilità delle mascherine
Ad oggi non è ancora chiaro se l’uso delle mascherine sia necessario o meno e a cosa. Fanno bene a chi le indossa o agli altri? Chi proteggono? Sono obbligatorie in alcuni territori, in altri consigliati, girano voci discordanti anche all’interno della stessa comunità scientifica e, in questa grande confusione di pareri, la maggior parte delle persone che non è pratico della materia, se ne fa una ragione e indossa la mascherina.
Tanto sono gli approcci, c’è chi ne cambia una ogni volta che esce, chi la mette ma non sopra il naso, quindi inutilmente, e chi invece cerca di igienizzarle e riciclarle per non consumarne troppe. Tanti sono anche i tipi di mascherina che troviamo in circolazione e sono fatte di materiali molto diversi, soprattutto se fabbricate in casa. C’è chi si è cimentato però nella loro preparazione, in parte per risparmiare, in parte con una mano sulla coscienza per lasciare quelle più efficaci al personale sanitario quando non ne giravano tante.
Dove buttare le mascherine
La pessima notizia che dobbiamo dare subito è che le mascherine che acquistiamo vanno gettate nel cestino dei rifiuti indifferenziati. La raccolta differenziata non è compresa nel blocco e nel #iorestoacasa, è necessario continuare a farla come raccomanda anche lo stesso Ministero della Salute ma le mascherine non sono coinvolte se si tratta di quelle che abbiamo acquistato.
Le più diffuse sono quelle nate più che altro a scopo igienico e che prima del coronavirus venivano utilizzate nell’industria alimentare o nella ristorazione o da qualche impresa di pulizie. Non proteggono le vie respiratorie ma c’è chi sostiene che siano utili perché impediscono a chi le indossa di emettere goccioline di saliva, proprio quelle che possono trasmettere il covid19 alle altre persone che si trovano nel suo raggio di azione.
Le mascherine chirurgiche riducono i rischi di infezione e vengono destinate soprattutto al personale sanitario perché sono considerate un dispositivo di protezione individuale. Di certo proteggono da schizzi e secrezioni grossolane di chi ci sta attorno, ed è per questo che i dottori la indossano, ma non abbiamo ancora la certezza che possono proteggere chi le indossa anche dall’aerosol infetto di una persona contagiata. Inoltre durano un paio d’ore e non possono essere utilizzate una seconda volta, nemmeno se disinfettate.
Esiste anche un altro modello di mascherina che, soprattutto all’inizio della pandemia, risultava introvabile se non a prezzi esorbitanti e con parecchia attesa. Mi riferisco a quelle che riportano le sigle FF da P1 a P3. Le FFP2 e P3. Questi dispositivi sono dotati di filtri e hanno un’efficacia filtrante rispettivamente del 92% e del 98% ma “scadono” dopo qualche ora.
Tutte queste mascherine, seppur fatte di materiali diversi, risultano tutte non riciclabili ma questo non ci autorizza ad abbandonarle dove capita o a buttarle deliberatamente per terra: vanno gettate nella raccolta dei rifiuti indifferenziati
Un discorso a parte va fatto per le mascherine che andiamo a produrre noi, cercando di seguire le indicazioni che ci sono state date. I materiali solitamente raccomandati per la costruzione di mascherine protettive sono però piuttosto difficili da riciclare. Si parla delle cartelle per documenti, quelle trasparenti, per realizzare la parte esterna mentre per quella intermedia viene consigliato a volte un asciugamano di carta da cucina perché sembra avere caratteristiche simili allo strato intermedio della maschera chirurgica. C’è anche lo strato interno, fatto di un tessuto facciale a tre strati/ quattro strati. Come immaginate, mascherine così costruite diventano davvero difficili da riciclare e finiscono nell’indifferenziata come la altre, a meno di scomporle e gettare almeno lo strato esterno nella plastica.
Dove buttare i guanti
Anche i guanti possono essere di diverso tipo e materiale ma qui la buona notizia c’è ed è che alcune volte possono essere riciclati.
Andiamo a scoprire le tante varietà esistenti per questa protezione che, affianco alla mascherina, potrebbe accompagnarci nella fase 2 per i mesi a venire, mesi che saranno caratterizzati, così sembra, da un allentamento delle misure restrittive molto graduale e sempre con mascherine, guanti e disinfettante alla mano. E la social distance che andrà a condizionare la nostra nuova quotidianità. Tra i tanti guanti che troviamo in giro, tre sono quelli più frequentemente venduti e usati, quelli in vinile, quelli in nitrile e quelli in lattice.
I guanti in vinile sono di polivinilcloruro, il famoso PVC, quindi destinati ad essere riciclati assieme alla plastica nella raccolta differenziata. Si tratta di guanti professionali, non particolarmente resistenti e sensibili ma con il pregio di essere malleabili, modellabili, morbidi ed elastici grazie alla loro natura “plasticosa”-
I guanti in nitrile vanno nell’indifferenziata perché non c’è proprio alcun modo di smaltirli con un processo di riciclaggio specifico. Questo è legato al fatto che il nitrile viene prodotto a partire da un composto organico, per cui non può essere destinato al riciclo e quindi a una parziale o totale riutilizzazione. Non è altro che una gomma sintetica elastica con una elevata resistenza meccanica e chimica, sensibilità ed ergonomia. Si tratta di guanti spesso utilizzati da chi per lavoro ha a che fare e tiene in mano alimenti, per non “sporcarli” oppure per coloro che si trovano a manipolare delle sostanze chimiche e/o fluidi corporei e in questo caso si deve lui proteggere.
Anche la terza e ultima tipologia di guanti di cui parliamo non può essere gettata se non nella raccolta indifferenziata. Sono guanti in lattice, materiale biodegradabile scelto perché assicura un alto livello di sensibilità, elasticità e impermeabilità. Hanno caratteristiche simili ai guanti di plastica ma, anche se lattice è un prodotto naturale, perché ottenuto dall’incisione della corteccia degli alberi della gomma, non può essere riciclato.
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