Deforestazione e cambiamenti climatici
“Deforestazione e cambiamenti climatici” è il sesto articolo frutto della collaborazione tra la Sezione Valorizzazione della Ricerca e Public Engagement – Agorà Scienza – e dal Green Office UniToGO dell’Università di Torino con la IdeeGreen S.r.l. Società Benefit.
L’articolo riprende i testi del prof. Enrico Borgogno Mondino e del dr. Tommaso Orusa pubblicati nell’opera “Lessico e Nuvole: le parole del cambiamento climatico”, la seconda edizione della guida linguistica e scientifica per orientarsi nelle più urgenti questioni relative al riscaldamento globale, curata dalla Sezione e dal Green Office.
La versione gratuita di Lessico e Nuvole, sotto forma di file in formato .pdf, è scaricabile dalla piattaforma zenodo.org.
La versione cartacea è acquistabile online sulle seguenti piattaforme di distribuzione:
– Amazon
– Mondadori (anche con Carta del Docente e 18app)
– IBS
– Libreria Universitaria (anche con Carta del Docente e 18app)
Tutto il ricavato delle versioni a pagamento sarà utilizzato dall’Università di Torino per finanziare progetti di ricerca e di public engagement sui temi dei cambiamenti climatici e della sostenibilità.
Cosa è la deforestazione
La deforestazione (o disboscamento) è la riduzione delle aree forestali della Terra in gran parte imputabile al cambio d’uso del suolo e alla pressione antropica sulle risorse naturali che hanno innescato l’Antropocene. I principali fenomeni che possono determinare nel tempo processi di deforestazione sono:
- i cambi d’uso del suolo con il passaggio da aree boschive a superfici per l’attività agricolo-zootecnica o a cave per l’estrazione mineraria o per l’espansione di insediamenti umani;
- la “selvicoltura di rapina” (pratica che mira a massimizzare il prelievo delle specie migliori destabilizzando la dinamica evolutiva del popolamento forestale);
- i tagli nei confronti di specie legnose rare che provocano degrado (forest degradation);
- alle capacità di incremento medio su una data superficie (che non tengono conto della capacità di rinnovazione della specie e delle caratteristiche stazionali ed ecologiche su cui l’area forestale insiste).
La deforestazione è spesso associata a una gestione a taglio raso volta alla conversione di vaste superfici da bosco ad altre destinazioni d’uso del suolo: ne è un esempio la pratica agricola dello “slash and burn” – taglia e brucia – per ottenere una temporanea fertilizzazione delle neo-superfici agricole e pascolive così ottenute.
Un esempio tipico di tale pratica avviene in Amazzonia e in Africa, in particolare in Congo (principalmente per il prelievo massiccio di legna da ardere come combustibile e a fenomeni di agricoltura di sussistenza).
Cause della deforestazione
Le ragioni della deforestazione sono numerose, spesso articolate e in alcuni casi non riconducibili alla filiera del legno. Fra le cause principali del disboscamento (termine che indica la perdita di superficie forestale senza adottare una gestione selvicolturale sostenibile basata su principi scientifici dell’ecologia forestale, dell’assetamento e della dendrometria) vi sono, come detto in precedenza, l’attività agricolo-zootecnica, l’attività estrattiva, l’espansione delle aree urbane e industriali (anche in Europa e Nord America, es. nelle pianure attraverso il consumo di suolo), l’incremento demografico, la produzione di carta e più in generale la pressione dell’essere umano sulle risorse naturali e sugli ambienti naturaliformi.
Le aree maggiormente interessate da questo fenomeno sono le foreste primarie pluviali del Sud America, Asia e Africa. In particolare gli hotspot si localizzano in Amazzonia, Indonesia, Malesia, Congo e Centro Africa.
A cosa servono le foreste
A livello globale le foreste occupano poco più del 30% delle terre emerse è svolgono una funzione fondamentale nella regolazione degli ecosistemi e più in generale come driver nel sistema climatico e per il microclima. Assieme alla biodiversità, di cui gli alberi fanno parte, sono ottimi bioindicatori e sono un elemento imprescindibile per la vita sulla Terra. Grazie all’attività fotosintetica svolta da tutti i vegetali e dal fitoplancton negli oceani (idrosfera) permettono di sottrarre, immagazzinare e stoccare l’anidride carbonica dall’atmosfera alla pedosfera svolgendo un ruolo chiave non solo nel ciclo del carbonio e in alcuni cicli biogeochimici ma anche nella mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.
Le foreste inoltre assolvono a molti servizi ecosistemici, sono riserve di biodiversità e fonte di sussistenza primaria per buona parte della popolazione mondiale.
Conseguenze della deforestazione
Occorre inoltre non dimenticare che politiche e fenomeni di deforestazione hanno impatti socio-ambientali notevoli. Tra le conseguenze prodotte dalla deforestazione si annoverano: le emissioni di gas a effetto serra, l’erosione di biodiversità, le minacce alle culture indigene, le alterazioni del ciclo dell’acqua anche a grande distanza (bilancio idrologico), alla diminuzione dei servizi ecosistemici, ovvero minore protezione nei confronti di fenomeni di dissesto idrogeologico ed erosione del suolo, minore contributo alla purificazione dell’acqua e dell’aria, alla produzione di ossigeno, alla fornitura ad esempio di piante medicinali (come quelle di nuova scoperta botanica) sempre più necessarie per sintetizzare farmaci utili, in un momento storico in cui lo sfrenato consumismo e uso indiscriminato di antibiotici, particolarmente evidente nelle produzioni animali, ha determinato fenomeni di antibiotico resistenza.
Nella maggior parte dei casi i servizi delle foreste e dei boschi non vengono considerati nel sistema economico, eppure se quantificati e stimati hanno valori economici e incidenze enormi.
Il report annuale della FAO sullo stato delle foreste
Ogni anno la FAO (Organizzazione Mondiale sul Cibo e l’Agricoltura) redige il report sullo stato delle foreste mondiali. Il tema centrale dell’edizione dell’ultimo report è il legame esistente tra gestione forestale sostenibile e raggiungimento dei Sustainable Development Goals (SDGs), individuati nell’ambito della definizione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
Nel rapporto vengono riportati numeri e fatti che testimoniano come le foreste siano in grado di contribuire al raggiungimento degli SDGs relativi a: mezzi di sussistenza e sicurezza alimentare; accesso a energia a prezzi accessibili; consumo e produzione sostenibili; mitigazione dei cambiamenti climatici; gestione forestale sostenibile ecc.
Tra i principali dati che emergono, si evidenzia il fatto che le foreste da sole siano in grado di garantire circa il 20% dei redditi alle famiglie che abitano nelle zone rurali dei paesi in via di sviluppo.
Un altro punto chiave evidenziato nel rapporto è che dagli alberi arriva il 40% dell’energia da fonte rinnovabile del mondo intero: un valore pari a quelli di solare, eolico e idroelettrico sommati tra loro che sono la chiave della transizione energetica.
Nel rapporto si parla, oltre agli aspetti legati all’Obiettivo 15 (“Proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre”) anche di produzione di legno e certificazione forestale, individuata come strumento in grado di rispondere specificatamente all’Obiettivo 12 (“consumo e produzione sostenibile”). Infatti, dal report si evince che il settore della lavorazione del legno ha compiuto importanti progressi nell’aumentare l’efficienza di utilizzo del legno.
Sebbene la produzione di pannelli di legno e segatura sia cresciuta dell’8,2% ogni anno tra il 2000 e il 2015, ciò ha richiesto solo una crescita dell’1,9% in termini di input da tondame industriale.
Nel frattempo, il consumo pro capite di pannelli è cresciuto dell’80%, mentre il consumo di segatura è rimasto statico. Sono stati inoltre ridotti i rifiuti nel settore cartario (uno dei più impattanti a livello sia ambientale sia di gestione sostenibile delle risorse forestali), con un raddoppio del tasso di recupero della carta dal 24,6% nel 1970 al 56,1% nel 2015. Ultimo (ma non ultimo in termini di importanza) il dato sulla quota di prodotti in legno certificati PEFC e FSC che è arrivata a rappresentare circa il 38% della produzione mondiale di tondame industriale nel 2016.
Ogni anno in Amazzonia, che ha una superficie comparabile all’Unione Europea, si registrano migliaia di fuochi. Ogni anno tra luglio e ottobre i satelliti rilevano molti incendi nel bacino amazzonico. Il 99% di questi incendi ha origine antropica.
Le immagini satellitari multispettrali, Earth Observation Data (vedi “Dati satellitari”) mostrano che a bruciare sono le zone di margine della foresta Amazzonica, al confine con i campi coltivati e i pascoli o le aree comunque utilizzate dalle comunità umane (e spesso deforestate in tempi recenti).
Tramite l’evaporazione dagli alberi, la foresta amazzonica regola in modo significativo la meteorologia sulla sua area, in particolare la formazione di nubi e precipitazioni. Se incendi e deforestazione arriveranno a riguardare il 25%-40% di questo sistema forestale (al momento intorno al 15%), l’ecosistema non sarà più in grado di regolare il proprio clima e potrebbe in tempi brevi trasformarsi in una savana (come era già 55 milioni di anni fa), rilasciando enormi quantità di anidride carbonica nell’atmosfera con effetti notevoli sulla biodiversità e il genere umano.
La carne è uno dei principali prodotti di esportazione dal Brasile, e l’Italia è uno dei principali importatori (30.000 tonnellate/anno – soprattutto per carni lavorate di bassa qualità).
Un accordo commerciale UE-Mercosur firmato nel 2019 facilita l’importazione di altre 100.000 t di carne bovina all’anno dal Sudamerica all’Europa ed è oggetto di una interrogazione al Parlamento Europeo di Coldiretti, che teme la concorrenza sleale nei confronti delle carni italiane.
Gli animali in Italia non sono allevati su terreni sottratti alle foreste primarie, tuttavia spesso sono alimentati con la soia proveniente dal Sudamerica, responsabile di deforestazione (soprattutto per quanto riguarda pollo, maiale e carni trasformate).
Studi dimostrano come l’UE (in cui molti paesi, Italia inclusa, per altro caratterizzati da un aumento della superficie forestale, con boschi non gestiti per mancanza di convenienza economica e scarsità di investimenti nel settore) è stata indirettamente responsabile di 9 milioni di ettari di deforestazione nel mondo nel periodo 1990-2008 mediante il consumo di prodotti ottenuti grazie a disboscamento (soia, carne, olio di palma).
In merito a quale condotta adottare per tentare di risolvere il problema, le azioni più efficaci sono quelle collettive e politiche. Occorre affidarsi a scienziati forestali e fare pressione per modificare le abitudini alimentari, i meccanismi di importazione, e allineare la spesa pubblica al reale valore delle cose: quanto viene destinato alla cooperazione ambientale? Quanto invece a sostenere i consumi domestici di prodotti responsabili di deforestazione? Il primo passo (necessario non sufficiente) può certamente essere a livello personale – accettare la sfida della complessità e cercare di capire da dove proviene e che conseguenze ha ciò che consumiamo.
dott. Tommaso Orusa, borsista di ricerca presso Unito Green Office Energia e Cambiamenti climatici e dottorando al GEO4AGRI presso il Dipartimento di Scienze, Agrarie Forestali e Alimentari dell’Università degli studi di Torino
prof. Enrico Borgogno Mondino, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari – Università di Torino; Coordinamento Cambiamenti Climatici UniTo Green Office UniToGO
Fonte immagine di apertura: Wikipedia
Bibliografia
– Latini Gianni, Bagliani Marco, & Orusa Tommaso. (2020). Lessico e nuvole: le parole del cambiamento climatico – II ed., Università di Torino. Zenodo. http://doi.org/10.5281/zenodo.4276945
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