Per lunghissimo tempo, le tinture tessili erano esclusivamente di origine “naturale”. La preparazione di bagni di colore avveniva a partire da radici, arbusti e foglie; meno etica e più rara, era la preparazione di bagni di colore a partire da derivati animali: per secoli, il rosso scarlatto che tinteggia le vesti dei cardinali, è stato ricavato da due diverse specie di cocciniglie.
Inizialmente, le tinture tessili erano applicate solo a stoffe naturali come il cotone, il lino, la lana e la seta. Nel mondo tessile le cose iniziarono a cambiare nel 1858, quando Perkin, assistente del direttore del Royal College of Chemistry di Londra, brevettò il primo colorante sintetico tessile derivato dal catrame di carbon fossile. Il colore in questione era un violetto brillante, destinato poi a diventare un cult dell’industria tessile per la tintura della seta. In seguito, con lo stesso processo, Perkin riuscì a ricavare un colore rosso tendente al fucsia.
All’Esposizione universale che si tenne a Londra nel 1862, gli ospiti potevano già ammirare molti tessuti tinti con le nuove sostanze coloranti, quelle derivate dal catrame. Pochi anni dopo, le tinture sintetiche avevano già spiazzato quelle naturali perché molto più economiche da ottenere: non bisognava aspettare un nuovo raccolto, la coltivazione agricola non serviva più… bastavano pochi componenti chimici, del catrame e un buon laboratorio per ottenere le tinture necessarie alla colorazione dei tessuti.
La storia delle tinture tessili può essere così schematizzata:
Tinture naturali (henné con gli estratti Lawsonia inermis, tinture naturali dell’equiseto, estratti di mirtillo, tinture dai germogli di more, licheni, robbia…) impiegate fino al 1858.
Tinture sintetiche impiegate che avevano soppiantato quasi del tutto quelle naturali a partire dal 1877. Queste due fasi non sono le uniche svolte per l’industria tessile. Molto cambiò con l’avvento dei tessuti sintetici: le fibre tessili di nuovo tipo come il perlon, il nylon e il dralon, costringevano l’industria tessile a cercare nuovi coloranti. Le fibre di questi tessuti erano poco reattive così bisognava o cambiare i coloranti tessili oppure realizzare un processo di tintura differente… fu sviluppato così un processo di tintura molto complesso e solo negli ultimi anni la tintura di queste fibre sintetiche è stata incorporata direttamente nel processo di fabbricazione causando a volte, non pochi danni all’ambiente.
Le diatribe legate al mondo delle tinture tessili continuano fino ai giorni nostri. Solo lo scorso anno, nei laboratori Greenpeace è stato messo in evidenza una componente cancerogena contenuta nei coloranti di capi d’abbigliamento distribuiti dai grandi brand. Non solo, il processo di colorazione impiegato dall’industria tessile arrecherebbe grossi danni all’ambiente a causa di una cattiva gestione degli estratti e derivati dal catrame.