“Climate Diplomacy e Quadro Europeo 2030 – 2050” è il nuovo articolo frutto della collaborazione tra la Sezione Valorizzazione della Ricerca e Public Engagement – Agorà Scienza – e dal Green Office UniToGO dell’Università di Torino con la IdeeGreen S.r.l. Società Benefit.
L’articolo riprende i testi della dott.ssa Sara Bonati, del prof. Marco Bagliani e della prof.ssa Antonella Pietta pubblicati nell’opera “Lessico e Nuvole: le parole del cambiamento climatico”, la seconda edizione della guida linguistica e scientifica per orientarsi nelle più urgenti questioni relative al riscaldamento globale, curata dalla Sezione e dal Green Office.
La versione gratuita di Lessico e Nuvole, sotto forma di file in formato .pdf, è scaricabile dalla piattaforma zenodo.org.
La versione cartacea e l’eBook sono acquistabili online sulle seguenti piattaforme di distribuzione:
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– Mondadori (anche con Carta del Docente e 18app)
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Tutto il ricavato delle versioni a pagamento sarà utilizzato dall’Università di Torino per finanziare progetti di ricerca e di public engagement sui temi dei cambiamenti climatici e della sostenibilità.
Climate Diplomacy
L’espressione “climate diplomacy” definisce il processo di negoziazione intrapreso dai governi allo scopo di raggiungere accordi internazionali sulle misure da attuare per contrastare i cambiamenti climatici. Le sue origini si ritrovano nella environmental diplomacy, che negli anni ‘70 del secolo scorso ha promosso le prime iniziative intergovernative per l’ambiente. Un processo globale di climate diplomacy è stato avviato con la nascita della INC nel 1990 (Intergovernmental Negotiating Committee for a framework convention on climate change), che ha portato, nel 1992, all’adozione della UNFCCC (UN Framework Convention on Climate Change), entro la quale è stato stabilito il primo forum intergovernativo per la discussione di accordi multilaterali sul clima. Il forum si ritrova a partire dal 1995 con cadenza annuale in occasione della cosiddetta conference of parties (COP).
La nascita di una branca della diplomazia specificamente dedicata alle questioni climatiche è il risultato del dominio di un approccio “a compartimenti” nella environmental diplomacy, che predilige una discussione settoriale o monotematica delle questioni ambientali. Questo ha consentito da una parte di dare ampia e specifica attenzione alla questione climatica, dall’altra ha ridotto la possibilità di adottare politiche integrate, che tengano conto delle interrelazioni con le altre emergenze ambientali presenti nei diversi territori.
La climate diplomacy ha vissuto a oggi due fasi principali: una prima fase in cui è stata prediletta la ricerca di un accordo globale (global deal strategy), multilaterale e top-down, che ha portato all’adozione del Protocollo di Kyoto, con valore vincolante e sovra-nazionale. Questa fase non si è esaurita in modo definitivo con Kyoto ma è proseguita fino alla COP15 di Copenaghen. Durante i negoziati che hanno seguito la COP3, tuttavia, erano già evidenti i limiti del modello nel poter replicare i risultati di Kyoto e raggiungere un nuovo accordo capace di prolungare e implementare il precedente. Il fallimento dell’approccio adottato è emerso in modo evidente a Copenaghen, dove ha trovato voce la necessità di dare spazio a un nuovo modello di diplomazia del clima, allo scopo di raggiungere entro il 2015 un nuovo accordo (non più un protocollo) con valore non vincolante ma capace di ricevere un’adesione più ampia.
A Copenaghen, dunque, è stata aperta la strada a un approccio bottom-up, entro il quale definire gli obiettivi in modo contestuale e tenendo conto degli interessi di sviluppo dei singoli paesi. Questa nuova visione di diplomazia del clima ha avuto il suo culmine nell’Accordo di Parigi. Il successo diplomatico di Parigi è riconducibile ad alcune manovre diplomatiche che possono essere riassunte in tre punti:
- abbandono del modello a “summit” come forma di negoziato, organizzando momenti preparatori che hanno consentito di raggiungere un pre-accordo, affidando la discussione ai ministri competenti, e lasciando ai capi di stato il ruolo di apertura dell’evento;
- avvio del processo di revisione dell’accordo prima della COP, riducendo lo spazio per eventuali discussioni durante la conferenza;
- partecipazione del maggior numero di stakeholder e trasparenza sul processo di negoziato, concordando i “paletti invalicabili” e prevenendo le critiche.
Se l’Accordo è stato letto come un successo dal punto di vista diplomatico non mancano le critiche, soprattutto relativamente agli obiettivi da raggiungere (meno ambiziosi di quanto auspicato dalla comunità scientifica) e alla labilità delle misure da intraprendere, data la natura non vincolante del documento. È infine utile ricordare che nel “pre-Parigi” ha avuto avvio una diplomazia climatica bilaterale, che si è affiancata a quella multilaterale dominante, e che ha avuto un ruolo importante nel successo di quest’ultima. Gli Stati Uniti guidati da Obama e la Cina, infatti, nel 2014 hanno firmato un accordo per la riduzione delle proprie emissioni. Questa politica diplomatica tuttavia si è conclusa con l’avvento dell’amministrazione Trump.
Quadro europeo 2030 – 2050
Nel 2014 l’impegno dell’Unione Europea per rendere l’economia regionale più competitiva, rafforzando la sicurezza e la sostenibilità del suo sistema energetico, si è intensificato con l’adozione del Quadro per il 2030 in materia di energia e clima. Si tratta di una serie di politiche che coprono il periodo 2020-2030 e sono volte a favorire competitività, sostenibilità e sicurezza del sistema energetico, incentivando ricerca, sviluppo e innovazione, innalzando la domanda di tecnologie efficienti e a bassa intensità di carbonio e riducendo la dipendenza dalle importazioni.
Gli obiettivi, con scadenza 2030, sono:
- riduzione delle emissioni di gas serra interne alla regione di almeno il 40% rispetto ai livelli del 1990. Questo consente di conseguire una riduzione dell’80-95% (con riferimento ai livelli del 1990) entro il 2050. Si stima infatti che una diminuzione inferiore al 40% al 2030 aumenterebbe i costi a lungo termine per la decarbonizzazione dell’economia (CE, 2014);
- aumento delle energie rinnovabili ad almeno il 27% del consumo energetico della UE;
- incremento del risparmio energetico al 27% (nel 2020 è prevista una ridefinizione verso il 30%).
Nel 2011 la Commissione europea ha definito una prospettiva ancor più ambiziosa con riferimento al lungo periodo attraverso la Roadmap to a Resource Efficient Europe (CE, 2011b), che dovrebbe condurre a un’economia competitiva a basse emissioni di carbonio entro il 2050 stimolando l’economia e la creazione di posti di lavoro attraverso le tecnologie pulite e l’energia low/zero carbon, favorendo la diminuzione dell’utilizzo delle risorse, rendendo la UE meno dipendente dalle importazioni di combustibili fossili. In modo indiretto, anche i livelli di inquinamento sarebbero ridotti, con indiscussi benefici per la salute della popolazione. Tutti i settori economici sono coinvolti, con sforzi maggiori da parte di quelli che risultano più impattanti, ossia produzione di energia, industria, trasporti, edilizia e agro-alimentare. Oltre a limitare il riscaldamento globale sotto i 2 °C come stabilito dall’Accordo di Parigi, la UE si è impegnata con questa roadmap a:
- ridurre entro il 2050 le emissioni dell’80-95% rispetto ai livelli del 1990. Il percorso per raggiungere l’obiettivo al 2050 è scandito da alcune tappe intermedie: una riduzione del 40% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030 (seguendo l’obiettivo già approvato nell’ambito del Quadro 2030) e del 60% entro il 2040;
- produrre l’energia per quasi il 100% da fonti a zero emissioni di carbonio;
- ridurre il consumo di energia del 30% (CE, 2011a; CE, 2014).
dott.ssa Sara Bonati, Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo – Università di Firenze
prof. Marco Bagliani, Dipartimento di Economia e Statistica “Cognetti de Martiis” – Università di Torino; referente Coordinamento Cambiamenti Climatici Green Office dell’Università di Torino; Istituto di Ricerche Interdisciplinari sulla Sostenibilità–IRIS
prof.ssa Antonella Pietta, Dipartimento di Economia e Management – Università degli Studi di Brescia; Istituto di Ricerche Interdisciplinari sulla Sostenibilità–IRIS
Bibliografia
– Latini Gianni, Bagliani Marco, & Orusa Tommaso. (2020). Lessico e nuvole: le parole del cambiamento climatico – II ed., Università di Torino. Zenodo. http://doi.org/10.5281/zenodo.4276945
– Falkner R. (2016). “The Paris Agreement and the new logic of international climate politics”, in International affairs, 92(5): 1107-1125.
– Falkner R., Stephan R., Vogler J. (2010). “International climate policy after Copenhagen: towards a ‘building blocks’ approach”, in Global policy, 1(3): 252-262.
– Hsu A., Moffat A.S., Weinfurter A.J. e Schwartz J.D. (2015). “Towards a new climate diplomacy”, in Nature climate change, 5(6): 501.
– Minas S. e Ntousas V. (a cura di) (2018). “EU climate diplomacy: politics, law and negotiations”, London, Routledge.
– CE, 2011a Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle regioni, Tabella di marcia per l’energia 2050, COM(2011) 88.
– CE, 2011b Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle regioni, Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, COM(2011) 571.
– CE, 2014 Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle regioni, Quadro per le politiche dell’energia e del clima per il periodo dal 2020 al 2030, COM(2014) 15.
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