Come stanno i nostri fiumi? Se ne occupa CIRF
“La stragrande maggioranza dei corsi d’acqua italiani potrebbero beneficiare di interventi di riqualificazione” secondo il Centro Italiano di Riqualificazione Fluviale (CIRF) ma nel nostro paese se ne fanno pochi perché “c’è un impianto normativo ed istituzionale che prevede la necessità di redigere una babele di piani che diventano vecchi ancora prima che si cominci ad implementarli. E poi ci sono il conflitto di competenze tra i diversi livelli amministrativi, la reiterata prevaricazione degli interventi emergenziali sulla pianificazione, l’approccio settoriale alle politiche territoriali e l’insufficiente sviluppo dei percorsi partecipativi”. L’associazione, però, ci lavora dal 1999.
1) Con quali obiettivi obiettivi è nato il CIRF? Da chi è composto e quali attività svolgete?
Il CIRF nasce da un gruppo di tecnici interessati alla gestione sostenibile dei sistemi fluviali. Non siamo un’associazione ambientalista, ma un centro di elaborazione scientifica e tecnica con l’obiettivo di trovare strategie multi obiettivo di gestione dei corsi d’acqua che permettano di raggiungere il compromesso più elevato possibile tra interessi molto spesso contrastanti (conservazione dell’ambiente, utilizzo della risorsa idrica, esigenze di sicurezza, fruizione) interloquendo con tutti i soggetti istituzionali coinvolti e i portatori di interessi.
Organizziamo e partecipiamo a giornate di studio e corsi di formazione, pubblichiamo la rivista on-line “Riqualificazione Fluviale” e sviluppiamo studi e ricerche per conto di enti pubblici.
Il nostro punto di forza è la continua collaborazione con numerosi enti (comuni, consorzi di bonifica, aree protette, regioni e province, autorità di bacino…), che ci permette di confrontarci continuamente con le problematiche reali sviluppare così proposte concrete e praticabili. L’altro punto di forza è il nostro essere parte attiva del dibattito internazionale: siamo membri dello European Centre for River Restoration 4 e siamo partner di vari progetti finanziati dall’Unione Europea.
2) Come si valuta, nella pratica, lo stato ecologico di un fiume?
Si studiano quindi le comunità viventi che vi abitano unitamente al regime idrologico e alle forme ed ai processi geomorfologici, oltre ad analizzare la qualità chimico-fisico delle acque, tutto questo con la finalità di comprendere i delicati equilibri che stanno alla base di questo ecosistema particolarmente complesso.
Lo stato ecologico di un fiume viene valutato misurando di quanto esso si è allontanato da come sarebbe in assenza di impatti antropici, situazione che viene chiamata “stato di riferimento”. Lo stato di riferimento dipendente dalle caratteristiche fisiografiche, geologiche, climatiche e fisico-chimiche del corso d’acqua e del suo bacino idrografico. Come per ogni altra cosa in natura ogni corso d’acqua è unico e irripetibile, non ne esistono di più “buoni” di altri, ma lo stato ecologico di ognuno è “buono” quando è molto simile a come dovrebbe essere e “pessimo” quando se ne è allontanato di molto.
La multidisciplinarietà necessaria a comprendere lo stato di salute di un fiume è la stessa che serve per individuare strategie di intervento per il suo miglioramento e per permettere all’uomo di vivere con esso in perfetto equilibrio, difendendosi DAI fiumi grazie alla difesa DEI fiumi.
3) Cosa significa riqualificazione fluviale?
Significa adottare misure che lo facciano diventare almeno un poco più simile a come sarebbe in assenza di impatti antropici. La riqualificazione fluviale è un insieme integrato e sinergico di azioni e tecniche, di tipo anche molto diverso (giuridiche, amministrative, finanziarie, gestionali, strutturali), volte a portare un corso d’acqua e il territorio ad esso connesso in uno stato più naturale possibile, capace di espletare le sue caratteristiche funzioni ecosistemiche (idro-geomorfologiche, fisico-chimiche e biologiche) e dotato di maggior valore ambientale, cercando di soddisfare nel contempo anche gli obiettivi socio-economici.
Si tratta quindi non solo di demolire delle opere e renderlo meno artificiale ma anche applicare nuove modalità di gestione a un invaso artificiale che permettano di ripristinare la continuità dei flussi di sedimenti, adottare misure di compensazione per gli agricoltori per favorire l’esondazione naturale delle piene nelle aree agricole, ad esempio.
Riqualificare non significa a tutti i costi tornare allo stato originario precedente l’intervento umano perché il contesto nel quale un fiume scorre e con il quale interagisce spesso impedisce il ritorno alla condizione preesistente.
4) Su che parametri si decide la necessità di fare interventi di riqualificazione fluviale?
La caratterizzazione dello stato ecologico di un corso d’acqua ci permette di individuare quali siano le componenti e le funzioni del sistema fluviale maggiormente alterate e compromesse, tendenzialmente, quindi, si interviene prioritariamente su queste. Non è detto, poi, che tutte le azioni necessarie si possano svolgere direttamente sul fiume stesso perché alcuni impatti possono anche avere origine altrove. Se in un tratto di fiume c’è un eccesso di nutrienti disciolti nell’acqua, dovremo intervenire a monte di esso, ad esempio, attraverso la realizzazione di fasce tampone. Se l’obiettivo è il ripristino di una popolazione di pesci migratori come la lampreda, lo storione o l’anguilla, bisogna prioritariamente cominciare a rimuovere gli ostacoli che interrompono la continuità del fiume più a valle. E ci sono molti altri esempi.
Attorno ai corsi d’acqua ruotano interessi contrastanti, come la massimizzazione dell’uso produttivo del territorio, l’utilizzo della risorsa idrica a fini irrigui, tecnologici e potabili, la salvaguardia di ecosistemi e specie. Il soddisfacimento di tutti questi interessi, escluso solo l’ultimo, comporta alterazioni più o meno pesanti dei corsi d’acqua. Più è territorialmente esteso e ambizioso un progetto di riqualificazione fluviale e tanto più la sua definizione necessità il coinvolgimento di molti soggetti per definire un modo diverso di vivere il territorio.
5) Qualche esempio di interventi di riqualificazione fluviale?
Il grande piano di riqualificazione del reticolo di bonifica del bacino scolante nella Laguna di Venezia, e gli interventi di riqualificazione su alcuni torrenti nelle vallate alpine in provincia di Bolzano.
Negli anni ’80 la Laguna di Venezia ha manifestato preoccupanti e gravi segni di eutrofizzazione, causati dall’eccessivo apporto di nutrienti. Per risolvere il problema è stato elaborato il Piano Direttore 20007 in base al quale è stato finanziato un ampio programma di riqualificazione del reticolo di bonifica, con la creazione di ettari di aree umide, chilometri di rinaturalizzazione degli alvei e messa a dimora di chilometri di siepi, tutto con l’obiettivo di incrementare la capacità di auto depurazione del territorio e rimuovere così in modo naturale i nutrienti di origine agricola che impattano sulla laguna. Questa iniziativa, nata strettamente per motivi di riduzione dell’inquinamento, oltre alla capacità depurativa ha riattivato anche altri servizi ecosistemici, come l’incremento della capacità di invaso delle acque meteoriche con conseguente riduzione della pericolosità da alluvioni.
La Provincia Autonoma di Bolzano per risolvere il rischio da alluvioni a Brunico e Vipiteno, ha scelto la via della riqualificazione. Stanno anche agendo sul recupero della falda, che si era abbassata significativamente, e sulla ricostituzione di ambienti ripariali che erano oramai scomparsi.
La stragrande maggioranza dei corsi d’acqua italiani potrebbero beneficiare di interventi di riqualificazione, dato che sono più o meno quasi tutti alterati da diverse tipologie di impatto. Tra le principali ragioni per le quali in Italia si fa poca riqualificazione fluviale c’è sicuramente un impianto normativo ed istituzionale che non favorisce un approccio integrato alla pianificazione e gestione dei corsi d’acqua. La normativa italiana prevede la necessità di redigere una babele di piani che diventano vecchi ancora prima che si cominci ad implementarli. E poi ci sono il conflitto di competenze tra i diversi livelli amministrativi, la reiterata prevaricazione degli interventi emergenziali sulla pianificazione, l’approccio settoriale alle politiche territoriali e l’insufficiente sviluppo dei percorsi partecipativi.
6) Quale nesso c’è tra riqualificazione fluviale e rischio di alluvioni?
Si pensa che la difesa dalle alluvioni e la salvaguardia della funzionalità ecologica dei corsi d’acqua siano in contrasto ma non è assolutamente così. Se diamo spazio ai fiumi, dandogli la possibilità di creare il proprio corridoio nel quale esondare liberamente, stiamo “intervenendo a favore dell’ambiente” e nel contempo, però, stiamo anche rendendo meno critiche tutte le problematiche connesse alle erosioni spondali e al trasporto di sedimenti e detriti. Stiamo rendendo il territorio più resiliente nei confronti degli eventi estremi, di quelli inaspettati e del cambiamento climatico.
Evidentemente la riqualificazione fluviale non è la panacea per la riduzione del rischio idraulico, ci sono molte casistiche che la rendono non percorribile a meno di grandi stravolgimenti del nostro modo di abitare il territorio, pensiamo a Genova, ma sicuramente presenta indubbi vantaggi in termini di riduzione dei costi di gestione del territorio, incremento della resilienza e di aumento dei benefici.
7) Come giudicate in generale lo stato dei nostri fiumi?
Un recente rapporto del’Agenzia Europea per l’Ambiente riporta come più del 50% dei fiumi europei presenti uno stato ecologico non soddisfacente, con almeno un 15% in una condizione di alterazione irreversibile. In Italia la situazione è in linea con il dato europeo. I dati disponibili presentano uno stato quali-quantitativo delle acque superficiali mediamente alterato, con numerosi casi fortemente compromessi. Tale condizione non tiene conto né delle alterazioni idro-geomorfologiche dei corsi d’acqua (in fase di parziale rilievo sistematico solo da pochi mesi), né dello stato della vegetazione fluviale, attributi che, come rilevabile da uno sguardo al territorio, frequentemente risultano penalizzanti.
Pubblicato da Marta Abbà il 5 Dicembre 2012