CieloBuio: meno luci per notti illuminanti
“Questa è la prima generazione dell’umanità che ha perso la possibilità di vedere coi propri occhi quello che da sempre è stata fonte di ispirazione per la scienza, le religioni, la filosofia, la letteratura e la cultura in genere”: il cielo buio e stellato. Purtroppo non si tratta solo di una questione di ispirazione: Fabio Falchi, presidente di CieloBuio (Coordinamento Nazionale per la Protezione del Cielo Notturno) spiega che l’inquinamento luminoso provoca danni concreti alla fauna e in particolare all’uomo. Tutti possono fare qualcosa, dal singolo cittadino al governo nazionale.
1) Quando siete nati e con quale obiettivo? Quali sono le vostre attività?
L’Associazione CieloBuio è nata alla fine degli anni ’90 per spingere l’approvazione di una proposta di legge contro l’inquinamento luminoso in Lombardia. Raccogliemmo oltre 25mila firme e questo convinse il Consiglio Regionale dell’opportunità di approvare la legge. Legge che venne notevolmente migliorata con il nostro contributo e che divenne un modello da seguire per gran parte delle regioni italiane, modello imitato anche all’estero, come nei parametri suggeriti dalla Starlight Initiative dell’UNESCO o nella legge nazionale slovena o in quella del Cile. Oltre all’attività di supporto per la preparazione delle leggi, CieloBuio controlla, per quanto possibile, la loro corretta applicazione sul territorio e organizza corsi di aggiornamento per i tecnici del settore.
2) Cosa è l’inquinamento luminoso e perché oggi preoccuparsene? Negli anni come è cambiata la consapevolezza?
L’inquinamento luminoso è, semplicemente, l’alterazione dei livelli di luce presenti nell’ambiente notturno causata dalla luce prodotta dall’uomo. Uno dei più evidenti effetti è la scomparsa del cielo stellato così come lo conoscevano e vedevano i nostri nonni. Questa è la prima generazione dell’umanità che ha perso la possibilità di vedere coi propri occhi quello che da sempre è stata fonte di ispirazione per la scienza, le religioni, la filosofia, la letteratura e la cultura in genere. Nel tempo sono emersi altre conseguenze negative dell’inquinamento luminoso che mettono quasi in secondo piano questo aspetto culturale: sempre più studi dimostrano i danni dell’eccesso di luce notturna per la fauna in genere e per l’uomo in particolare. Si stanno accumulando sempre più prove del pericolo per la salute che corriamo esponendoci agli attuali livelli di luce artificiale nelle ore notturne.
3) Cosa può fare un singolo cittadino per contribuire ad un cielo più buio?
Deve innanzitutto informarsi sul problema. Deve verificare se nella propria regione esiste una legge – solo Sicilia e Calabria non l’hanno – e se questa è efficace nel limitare l’inquinamento luminoso. Sembra assurdo, ma alcune leggi come quelle in vigore ad esempio in Piemonte, Valle d’Aosta e Basilicata, non riescono a intervenire efficacemente sulla cosa. Un cittadino, dopo essersi informato, scaricando anche materiale dal nostro sito, può presentarsi nel proprio Comune per chiedere di rispettare la legge.
4) Amministrazioni pubbliche e imprese private?
Dove le leggi regionali esistono da più tempo e/o sono più controllate, come in Veneto, Lazio e Lombardia è ormai difficile che nuovi impianti vengano fatti palesemente fuori legge. Le amministrazioni pubbliche si stanno lentamente adeguando. Per quanto riguarda i privati, invece, il problema è praticamente intatto, anzi sta tuttora peggiorando. Possiamo rendercene benissimo conto guidando su un’autostrada come la A4 Milano-Venezia dove veniamo continuamente abbagliati e distratti da fari, proiettori e luci varie direzionate anche verso i guidatori che servono solo a mostrare quegli orrori architettonici che sono i capannoni industriali. Questi, oltre a deturpare il paesaggio diurno, quando di notte sarebbero giustamente invisibili, vengono invece illuminati a giorno alla ricerca di un’ inutile pubblicità e di un’illusione di sicurezza, minando invece la sicurezza degli utenti della strada, abbagliandoli e distraendoli, spesso in violazione dell’art.23 del Codice della Strada.
5) Quali sono le zone d’Italia più colpite dal problema? Quali le più sensibili e attente?
Oggi, in Italia, non esiste più un solo luogo dove si possa ammirare un cielo stellato incontaminato, tranne forse dall’isola di Montecristo, comunque inaccessibile. Esistono sì zone meno colpite di altre, come la Maremma, alcune zone alpine vicino all’Austria, parte della Sardegna, ma sono comunque zone in qualche modo inquinate. Quelle più colpite sono tutta la Val Padana, la valle dell’Arno, Roma e dintorni, la Campania, la Puglia e la Sicilia. Dove le leggi sono più efficaci, però, va sottolineato che la crescita dell’inquinamento luminoso è stata fermata ai livelli di una dozzina di anni fa.
6) C’è una realtà particolarmente virtuosa da citare in Italia per una particolare iniziativa?
In Italia ci sono alcuni comuni che hanno adottato, ante litteram, i suggerimenti che abbiamo dato al Governo Monti per risparmiare quasi un miliardo all’anno sull’illuminazione pubblica. Rota Greca (CS), Magnacavallo (MN), Carbonara Po (MN) e Fara Gera d’Adda (BG) hanno ricevuto il premio di CieloBuio per l’aver messo a norma i propri impianti limitando l’inquinamento luminoso e ottenendo risparmi che variano da un minimo del 40% fino a quasi il 70%.
7) La situazione italiana rispetto a quella di altri paesi europei com’è? Ci sono best practices da importare?
L’Italia, una volta tanto, è presa come esempio per le proprie leggi contro l’inquinamento luminoso e quindi siamo noi ad esportare le ‘best practices’. In assoluto quella che oggi forse è la migliore legge al mondo contro l’inquinamento luminoso è la nuova ‘norma luminica’ del Cile, con cui abbiamo lavorato a stretto contatto. Purtroppo però, in Italia, abbiamo anche il vezzo di sovrailluminare a sproposito. Infatti siamo a livelli di consumo doppi rispetto ai tedeschi e quasi tripli rispetto ai britannici, pur non avendo certamente strade e città più sicure per questo. C’è un tentativo, portato avanti da UNI, di aumentare i livelli di illuminazione delle nostre strade che ha portato ad un raddoppio dal 2007 dei livelli richiesti dalla norma UNI per la stragrande maggioranza delle strade urbane italiane. Alla faccia dei risparmi e del fatto che già consumiamo molto più della media europea.
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Pubblicato da Marta Abbà il 4 Marzo 2013