Circa 480 milioni di mammiferi, uccelli, rettili e altri animali deceduti. 100 mila sfollati, almeno 25 vittime e oltre 6 milioni di ettari di territorio distrutti. Sono i dati impressionanti del disastro ambientale che da quattro mesi a questa parte sta interessando l’Australia, colpita da incendi che non sembrano aver fine. Un vero inferno che giorno dopo giorno sta divorando le foreste del Paese, minacciando i centri abitati, trasformando in città fantasma le stazioni turistiche, devastando la biodiversità e aumentando il rischio di definitiva scomparsa dei koala, specie già dichiarata funzionalmente estinta.
Ma quali sono le possibili cause di questa inarrestabile apocalisse? In rete, da parte degli utenti di ogni latitudine del globo si susseguono dubbi, interrogativi e ipotesi. Al tempo stesso, fioriscono articoli e comunicati stampa da parte delle varie Agenzie internazionali. In attesa che vengano emanati dati tecnico-scientifici certi, ufficiali e definitivi, proviamo a fare il punto della situazione allo stato attuale delle cose.
2019: per l’Australia un anno di temperature record
Nella ricerca delle cause degli incendi che stanno mettendo in ginocchio l’Australia, il dito è puntato in primo luogo sugli effetti del riscaldamento globale e dell’attuale crisi climatica. Stando alle rilevazioni del Bureau of Meteorology, il Servizio Meteorologico australiano, l’anno 2019 è apparso come il più caldo di sempre, registrando un’anomalia termica di +2,09°C, di gran lunga superiore alla precedente di +1,6°C risalente all’anno 2013. Secondo quanto rilevato, in Australia quasi tutti gli anni più caldi si sono verificati negli anni Duemila, fatta eccezione per due sole annate, il 2009 e il 2010, contraddistinte da temperature lievemente al di sotto della norma.
La situazione degli incendi continua a essere drammatica e, come dichiarato dal Bureau of Meteorology, i roghi sono di una intensità e di una vastità tali da determinare un fenomeno meteorologico singolare e autonomo, la generazione di piro cumulonembi. Si tratta di particolari formazioni nuvolose prodotte dal fumo e dal calore degli incendi, in grado di originare forti temporali. Invece di rappresentare un aiuto per domare i roghi, queste tempeste tendono ad alimentare le fiamme attraverso fulmini e raffiche di vento e trasportando nell’aria tizzoni ardenti e ceneri roventi che finiscono per riversarsi su ampie aree di territorio.
In condizioni di vento estremo si possono inoltre sviluppare i cosiddetti “firenado”, colonne di fuoco che si innalzano in atmosfera scatenando un vortice simile a quello che forma un tornado. Siamo quindi di fronte a un circolo vizioso, favorito non solo dalle temperature record che hanno interessato l’Australia negli ultimi mesi ma anche dalla compresenza di forti venti. A complicare il delicatissimo quadro, sono per di più tre anni consecutivi di siccità. Un contesto allarmante che fa sorgere inevitabili interrogativi sul negazionismo climatico sventolato dal governo australiano.
Il negazionismo climatico del governo australiano
Che i governi dell’Australia abbraccino posizioni negazioniste sul fronte del cambiamento climatico non è una novità delle ultime ore. Già nell’agosto 2018, l’ormai ex Primo Ministro Malcolm Turnbull aveva compiuto un passo indietro rispetto all’Accordo di Parigi, decidendo di non rispettare gli impegni presi per ridurre le emissioni di gas serra. Fin da allora, ad averla vinta a sfavore del clima, era stata la lobby energetica locale.
L’attuale governo conservatore del Primo Ministro Scott Morrison non si è discostato di molto dalla linea precedentemente tracciata, dimostrando di non prendere sul serio la crisi del clima. Nonostante le forti critiche e le tante proteste.
A supportare il punto di vista di chi invece vede nell’Apocalisse australiana i segnali di un’emergenza climatica sempre più pressante è il Climate Change Performance Index (CCPI) 2020, strumento utilizzato per descrivere e per valutare in maniera oggettiva e trasparente le politiche internazionali sul tema del cambiamento climatico. L’indice CCPI di quest’anno, presentato in occasione della COP25 ospitata a Madrid, ha assegnato all’Australia il rating più basso in assoluto nella valutazione della politica climatica di decine di paesi. Il Paese si è piazzato al 56° posto nella classifica generale dell’indice, ricevendo giudizi molto bassi per ciò che riguarda l’utilizzo dell’energia e risultando il fanalino di coda internazionale sia nella categoria delle emissioni di gas serra sia in quella delle energie rinnovabili.
Lo stato dei fatti evidenzia come l’attuale Primo Ministro australiano sia molto più concentrato sulle questioni pratiche di contrasto agli incendi che sulla prevenzione degli stessi, a partire dalle loro cause di fondo. Nel suo discorso di Capodanno alla nazione, in effetti, Morrison non ha fatto accenno al collegamento tra i roghi incessanti e il surriscaldamento globale, sottolineando l’Australia sta affrontando un calvario ma che la popolazione nazionale ha già superato prove simili nel corso della sua storia.
Dal canto loro, invece, scienziati ed esperti sostengono che le emissioni di gas serra, pur non rappresentando una causa diretta degli incendi, occupano un ruolo documentato e innegabile nell’innalzamento delle temperature, poiché creano condizioni ambientali e climatiche eccezionalmente secche e aumentano di conseguenza i rischi che si verifichino roghi dai risvolti catastrofici.
In considerazione del disastro in corso, inevitabili appaiono perciò le critiche rivolte nei confronti delle politiche attuate da Morrison. Ancora una volta le scelte del governo australiano favoriscono l’industria energetica tradizionale a scapito del clima e dell’ambiente. Non va dimenticato che l’Australia è il più grande esportatore mondiale di carbone. Un’industria redditizia nei confronti della quale Morrison appare deciso a non effettuare tagli, come da lui stesso dichiarato nel corso di un’intervista a Seven Network rilasciata pochi giorni orsono. Queste le parole pronunciate dal Primo Ministro australiano: “Non cancellerò il lavoro di migliaia di australiani, allontanandomi dalle industrie tradizionali“.
Morrison ha tuttavia assicurato che il Paese raggiungerà gli obiettivi di emissione stabiliti per il 2030, “affrontando responsabilmente i cambiamenti climatici“. Ma per le menti più sensibili all’emergenza ambientale e per i membri dell’opposizione laburista locale, queste promesse non bastano. E non a torto.
Gli arresti per incendio doloso
Mentre le fiamme e le polemiche continuano a divampare, nel frattempo la polizia del Nuovo Galles del Sud ha riferito che le autorità australiane hanno accusato 183 persone di aver appiccato deliberatamente gli incendi boschivi degli ultimi mesi. Di queste, 24 persone sono state accusate in relazione a incendi dolosi appiccati nel Queensland, nel Victoria, nell’Australia Meridionale e in Tasmania. Il dato ancor più triste è che ben il 70 per cento dei piromani è minorenne.
Come spesso accade, insomma, la mano devastante dell’uomo sta contribuendo ad aggravare una tragedia che difficilmente si potrà dimenticare e che provocherà una ferita pressoché insanabile per la salute ambientale dell’Australia e dell’intero pianeta.