Big Data per l’Ambiente
Dall’analisi dei Big Data fatta dal Programma Ambientale delle Nazioni Unite sappiamo che ogni anno scompaiono dal nostro pianeta circa 18mila miglia quadrate (4,6 milioni di ettari) di foreste tropicali che sono l’habitat di circa 30 milioni di specie viventi, la metà di tutte le specie vegetali e animali presenti sul nostro pianeta, e generano il 40% dell’ossigeno presente sulla terra.
Superato lo shock della notizia, la curiosità ci impone una domanda: come si arriva a questi dati? Qual è il meccanismo scientifico di elaborazione delle informazioni, sicuramente una moltitudine di input eterogenei, che permette di sintetizzare in fattori numerici confrontabili le mutazioni del pianeta?
La risposta è anche nei Big Data, o meglio nelle tecnologie informatiche che oggi permettono di analizzare con sempre maggior precisione enormi volumi di dati di disparata provenienza. Le tecnologie per i Big Data, oggi tra i temi di maggiore interesse nel mondo dell’IT, sono per dirla semplice degli enormi imbuti di analisi, calcolo, comparazione che sondano, vagliano, confrontano e sintetizzano in formato comprensibile tutti i dati e le informazioni che vi vengono riversate.
Poiché per intervenire bisogna prima conoscere il problema (questo vale in ogni situazione) non c’è dubbio che i Big Data possono dare una grossa mano all’Ambiente; per esempio facendoci sapere attraverso il Programma Ambientale delle Nazioni Unite quanta foresta ci fumiamo ogni anno, e quanta ce ne resta prima di estinguerci.
La credibilità del risultato dipende ovviamente dalla fonte informativa, ma anche dalla qualità della tecnologia Big Data. Conservation International, un’organizzazione ambientalista non-governativa attiva nella protezione della natura, ha attivato una collaborazione con il colosso dell’informatica HP sul progetto HP Earth Insights, che applica la tecnologia HP per i Big Data alla ricerca in ambito ecologico condotta da Conservation International su 16 foreste tropicali nel mondo.
I dati e le analisi di HP Earth Insights saranno condivisi con i responsabili delle aree protette, affinché possano sviluppare politiche sulla caccia e sulle altre cause di diminuzione delle specie per questi ecosistemi. Il vantaggio dell’analisi dei Big Data è che ciò che un tempo richiedeva a più scienziati un lavoro di analisi lungo settimane, mesi, o anche di più, oggi può essere fatto da una sola persona in poche ore.
Sapere è necessario per agire, ma prepariamoci a digerire brutte notizie dai Big Data. I primi dati raccolti hanno permesso infatti di capire che: delle 275 specie monitorate, 60 (pari al 22%), sono diminuite rispetto alla base di dati; 33 delle specie monitorate (pari al 12%) sono diminuite significativamente di numero e fra queste ci sono l’orso e il cinghiale della Malesia e il grigione maggiore dell’Ecuador (Yasuni); la popolazione dei gorilla, che vive nella Repubblica del Congo ed è considerata una specie ad alto rischio di estinzione, è verosimilmente diminuita del 10% rispetto ai dati 2009.
Pubblicato da Michele Ciceri il 15 Dicembre 2013