Aracne è un personaggio mitologico che tutti noi colleghiamo al ragno e non abbiamo tutti i torti. Se viene automatico, oggi, pensare questo animale, non è così scontato che si conosca la storia che ci sta dietro. E’ un mito affascinante che vale la pena di farsi raccontare.
Aracne in letteratura
Ovidio la narra nel VI libro delle Metamorfosi, anche se il personaggio viene già citato nelle Georgiche virgiliane, e poi troviamo Aracne anche altrove, sempre nelle pagine di ben noti autori. Partiamo con il citare la sua comparsa nell’Inferno di Dante dove spunta nel Canto XVII, e torna anche nel Purgatorio, nel Canto XII. Più avanti a riprendere questa interessante figura ci pensa Boccaccio nel De mulieribus claris e fa lo stesso da Giambattista Marino nella poesia Donna che cuce.
Passando i confini nazionali, possiamo leggere “Il ragno nero” (Die schwarze Spinne), romanzo breve scritto dallo svizzero Jeremias Gotthelf (1841) in cui il mito greco si intreccia con la tradizione popolare dei contadini del bernese, il luogo delle sue origini.
Aracne: mito
Figlia del tintore Idmone, Aracne è una giovane vivace, abita in Lidia, nella città di Colofone, famosa per la sua porpora. Forse anche per via del mestiere del padre, fin da piccola si dimostra subito molto abile nel tessere e nel ricamare. E’ in grado infatti di realizzare con un semplice mucchio di fili delle vere e proprie opere d’arte, delicate e ben fatte, capaci di trasmettere forti emozioni e di quasi ipnotizzare chi le guarda.
Ben consapevole della propria capacità e per nulla modesta, la giovane della Lidia si è un giorno spinta ad affermare che neppure l’abile Atena sarebbe stata in grado di fare di meglio. Ovviamente Atena si ritiene la massima esperta in materia. Anche lei non è una campionessa di modestia e quando viene a sapere della indiretta sfida lanciata da Aracne di certo non ci passa sopra. Anzi, prende di petto la sua avversaria e accetta la sfida che la fanciulla le lancia, una gara pubblica di ricamo.
Attenzione, non lo fa subito. Prima fa un’altra mossa: presa da una forte rabbia si trasforma in una vecchietta e si presenta da Aracne cercando di convincerla a ritirare la sfida e ad accontentarsi di essere proclamata la migliore tessitrice umana, tra i mortali. Figuriamoci se la bravissima tessitrice ritira la sua sfida, quindi Atena si trova costretta a riprendere le proprie sembianze e a “combattere” a suon di punti di cucito.
Ci sono delle bellissime raffigurazioni che mostrano la scena della sfida tra ricamatrici ma anche noi la possiamo ben immaginare. Ci sono Aracne e Atena che ricamano impegnate con le loro matasse affianco e man mano che passa il tempo cominciano a prendere forma le loro trame tessili. La nostra protagonista con i suoi fili “dipinge” gli amori degli dei, le loro colpe e i loro inganni, Atena per contro sceglie di raccontare ricamando tutte le proprie migliori imprese e i propri poteri. Tesse le proprie lodi nel vero senso della parola.
Terminate le due opere e messe a confronto, non c’è dubbio, quella di Aracne è una spanna migliore. Sembra animata di vita propria, sembra che i personaggi respirino, è precisa e divertente, drammatica e brillante. Anche la stessa dea è costretta ad ammettere la supremazia della sua rivale ma certo non è disposta a farlo pubblicamente andandosene da sconfitta. Ecco allora che prende la tela di Aracne e la distrugge, la divide in mille pezzi e afferra la spola nella mano, utilizzandola per aggredire la giovane ferendola a sangue.
Un po’ ingenuamente, la brava tessitrice mortale si mostra sconvolta dalla reazione della dea, così rabbiosa e vendicativa, e scappa via di corsa per cercare di uccidersi, in cerca di un albero per impiccarsi. La dea invidiosa della sua bravura non è disposta a concederle una via d’uscita così semplice ed in un certo senso poco crudele e si inventa una condanna ad hoc. Decide che la giovane dovrà tessere per il resto dei suoi giorni e dondolare dallo stesso albero dal quale voleva uccidersi. Non è finita, manca la parte più perversa della punizione. Aracne non avrebbe dovuto filare con le mani, come immaginato, ma con la bocca, perché sarebbe diventata un gigantesco ragno orribile.
Aracne in Ovidio
Sentiamo cosa ci racconta Ovidio delle sue Metamorfosi. “ (…) Accetta Minerva la sfida … la dea dai biondi capelli si corrucciò del felice successo e stracciò la trapunta tela che scopre le colpe dei numi e colpì con la spola di citoriaco bosso più volte la fronte di Aracne. Non lo patì l’infelice: furente si strinse la gola con un capestro e restò penzoloni. Atena, commossa, la liberò, ma le disse: – Pur vivi o malvagia, e pendendo com’ora pendi. E perchè ti tormenti nel tempo futuro, per la tua stirpe continui il castigo e pei tardi nepoti -. Poscia partendo la spruzza con sughi di magiche erbette: subito il crime toccato dal medicamento funesto cadde e col crine le caddero il naso e gli orecchi: divenne piccolo il capo e per tutte le membra si rimpicciolisce: l’esili dita s’attaccano, invece dei piedi, nei fianchi: ventre è quel tanto che resta, da cui vien traendo gli stami e, trasformata in un ragno, contesse la tela di un tempo” .
Aracne in Dante
Dante mette Aracne si all’Inferno che nel Purgatorio, in quest’ultimo scrive
“O folle Aragne, sì vedea io te/Già mezza ragna, trista in su li stracci/De l’opera che mal per te si fé”.
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