I ghiacciai dell’Antartide non godono di buona salute. In soli tre anni è andata persa un’area più grande del Messico, pari a 2 milioni di chilometri quadrati di ghiaccio. Un processo catastrofico che ha avuto inizio nel 2014.
A rilevarlo sono state le analisi condotte da una ricercatrice della NASA attraverso immagini satellitari.
Scioglimento dei ghiacci: i rilievi satellitari
Lo sconvolgente aumento dello scioglimento dei ghiacci del Polo Sud è stato individuato dalla ricercatrice Claire L. Parkinson del Laboratorio di Scienze della Criosfera della NASA, operativa presso il Goddard Space Flight Center di Greenbelt, in Maryland.
Dalla fine degli anni ‘70 fino a cinque anni fa, il ghiaccio antartico è cresciuto costantemente nel corso degli inverni australi, raggiungendo il picco massimo nel 2014. A partire da quella data si è verificata una inversione di tendenza che ha condotto a una diminuzione drammatica nel giro di tre anni.
Secondo i dati della Parkinson, se nel 2014 il ghiaccio occupava circa 12,8 milioni di chilometri quadrati, nel febbraio del 2017 si è scesi a 10,7 milioni di chilometri quadrati. Ad aggravare il già impressionante quadro, i picchi negativi che sono stati rilevati a maggio e giugno di quest’anno, che risultano superiori a quelli registrati nel 2017.
Le cause dello scioglimento
Il meccanismo che sta scatenando questa inattesa impennata non è ancora completamente chiaro. I cambiamenti climatici in corso potrebbero occupare un ruolo determinante nello scioglimento dei ghiacci del Polo Sud. Tuttavia, gli scienziati non escludono che possa trattarsi di un fenomeno transitorio.
Secondo alcuni studiosi, la tesi più accreditata sarebbe quella della “variabile naturale”: sarebbero cioè i venti a influire in maniera distinta sul ghiaccio. A sostenere questa possibilità è per esempio Mark Serreze, direttore del National Data and Snow Center statunitense, secondo cui risulta prematuro affermare che il recente calo “sia la prova dell’inizio di un declino a lungo termine guidato dall’effetto serra“.
Oltre all’azione diversa dei venti, come possibili cause dello scioglimento vengono elencati altri fattori, tra cui El Niño, un fenomeno climatico periodico che determina un forte riscaldamento delle acque dell’Oceano Pacifico Centro-Meridionale e Orientale.
Un Pianeta sempre più caldo
Nell’attesa che la scienza faccia il suo corso offrendo una risposta precisa e definitiva, nel frattempo, neanche l’emisfero settentrionale del Pianeta sembra passarsela bene. Lo scorso 4 luglio, in Alaska sono state registrate temperature mai attestate in precedenza. Nella località di Anchorage, città costiera nota per essere la più fredda degli Stati Uniti, il termometro ha raggiunto ben 32,2 gradi, praticamente la stessa temperatura di Miami.
Per l’intero mese di giugno, inoltre, nello Stato americano, che è in parte localizzato all’interno del Circolo Polare Artico, le temperature sono apparse sopra la media stagionale. Secondo gli esperti, queste cifre anomale si devono almeno in parte al riscaldamento che sta interessando l’Oceano Artico.
Temperature ai limiti della sopportazione umana si stanno invece registrando nel Nord dell’India. Gli studiosi hanno sottolineato che si tratta del secondo periodo pre-monsonico più secco degli ultimi 65 anni. Il termometro ha raggiunto picchi di oltre 50 gradi Celsius, causando decessi, gravi conseguenze sulla salute della popolazione e una inevitabile carenza d’acqua.
Troppi casi. Troppe “coincidenze” parallele. È evidente che qualcosa nel clima mondiale stia mutando. Nonostante tutto, c’è chi ancora si ostina a negarlo per diffidenza, per leggerezza o, nel peggiore dei casi, per interesse personale.