ANIA: pedoni e ciclisti al centro
“Porre al centro dell’attenzione chi sulla strada è più vulnerabile, consentirebbe all’Italia non solo si salvare vite, ma di fare un salto di civiltà”. Ad affermarlo è Umberto Guidoni, segretario generale della Fondazione ANIA per la Sicurezza Stradale che racconta di un Paese ancora da educare ma che è sulla buona strada. Soprattutto perché le nuove generazioni sono piuttosto attente.
1) Quando è nata la fondazione e a che scopo?
La Fondazione ANIA per la Sicurezza Stradale è nata nel 2004 per volontà delle compagnie di assicurazione. Lo scopo della Fondazione ANIA è quello di realizzare iniziative affinché venga ridotto il numero e la gravità degli incidenti stradali in Italia.
2) Come è cambiata in Italia l’emergenza sicurezza stradale negli ultimi anni?
Nel 2001 l’Unione europea fissò un obiettivo a livello comunitario: ridurre del 50% entro il 2010 i morti da incidente stradale in tutti i paesi membri. L’Italia quell’anno registrava 7.096 vittime, nel 2010 il numero dei decessi era di 4.090, con una diminuzione del 42,4%. Il nostro Paese non ha centrato l’obiettivo comunitario, ma ha certamente imboccato la strada giusta. Nel corso di questi anni sono aumentate le campagne di comunicazione e la sensibilizzazione sui temi della sicurezza stradale. Da parte nostra, ad esempio, abbiamo portato avanti 4 campagne a livello nazionale sui rischi legati alla guida in stato di ebrezza e alla velocità, sulla guida distratta e sul rispetto delle regole al volante.
3) Quanto sono efficaci queste iniziative?
Hanno prodotto maggiore attenzione soprattutto da parte delle fasce più giovani, tra le quali, per esempio, è molto diffuso l’uso della cintura di sicurezza e del casco. E’ aumentato anche il numero dei ragazzi che, in discoteca o nelle serate di festa, sceglie nel gruppo il cosiddetto guidatore designato che decide di non bere per riportare a casa gli altri in sicurezza. Da anni portiamo avanti un’iniziativa per educare i giovani a questa pratica, ma non basta. Vanno affrontati i problemi che si registrano nelle aree urbane e sulle strade extraurbane, in particolare statali e provinciali, dove la gravità degli incidenti è ancora molto seria. Bisognerebbe introdurre anche lì il sistema tutor, ad esempio, e favorire l’interazione tra tecnologia, controlli, educazione e informazione per combattere efficacemente l’incidentalità stradale.
4) State monitorando la situazione di soggetti deboli come i ciclisti?
Da tempo. Già due anni fa, avevamo lanciato un allarme che stava e sta tutto nelle cifre: nell’ultimo anno (2011 Aci-Istat) in Italia sono morti 282 ciclisti. Un numero consistente, nonostante ci sia stata una diminuzione elevatissima rispetto agli anni scorsi. Nel 1980, infatti, i ciclisti vittime di incidenti stradali erano 688; nel 2007 erano 352, scesi a 288 l’anno successivo, prima di risalire a 297 nel 2009, per poi scendere a 265 nel 2010, fino a crescere di nuovo nel 2011. Noi siamo stati anche i primi nel nostro Paese a rilanciare l’appello del Times di Londra nel febbraio 2012, quello che di fatto ha dato vita ai vari movimenti “salvaiciclisti”. Ci eravamo resi presto conto che il numero dei ciclisti coinvolti in incidenti stradali nel nostro Paese stava aumentando, tuttora è indispensabile un impegno specifico su questa categoria di utenti.
5) Quali interventi considerate utili per migliorare la sicurezza dei ciclisti?
E’ chiaro che maggiore è la diffusione delle piste ciclabili protette, maggiore sarà la sicurezza per i ciclisti. Gli interventi infrastrutturali, quindi, sono quelli più importanti, ma anche quelli più difficili da realizzare per costi e tempi. Una delle proposte più recenti riguarda la creazione delle zone 30, aree urbane dove le automobili non possono superare i 30 chilometri orari. E’ chiaro che, riducendo la velocità, ci sarebbero minori rischi anche per gli utenti deboli. La sicurezza di chi va in bici, però, deve essere assicurata anche attraverso un’attenta opera di educazione dei ciclisti: si deve far capire che anche per loro si applica il codice della strada. Il casco, ad esempio, non è obbligatorio ma è fortemente consigliato. Utile, oltre che obbligatorio nelle ore notturne, è anche il giubbetto catarifrangente.
6) Per i pedoni, invece, come è la situazione di sicurezza?
Nell’ultimo anno nel nostro Paese sono morti 589 pedoni. Una media di oltre 11 pedoni a settimana. Il numero complessivo è fortunatamente in calo, anche perché in molte città sono state adottate misure specifiche. A Roma, ad esempio, il numero dei pedoni morti è sceso da 65 del 2009 a 44 del 2011. questo anche grazie ad iniziative come il ripristino di oltre 500 attraversamenti pedonali a rischio finanziata con un protocollo di intesa fra noi e il Campidoglio. L’opera infrastrutturale, unita ad una strategia di comunicazione studiata ad hoc, ha fatto sì che aumentasse la sensibilità e l’attenzione degli automobilisti verso i pedoni.
7) La situazione italiana come risulta se paragonata a quella di altri paesi europei?
Sia per numero di ciclisti morti, sia per numero di pedoni morti, l’Italia è al terzo posto in Europa. Nel primo caso è preceduta da Germania e Polonia, nel secondo da Polonia e Romania. I motivi sono molteplici, legati ad aspetti culturali e allo stato delle infrastrutture. In Italia è necessaria una rivoluzione culturale basata sul rispetto delle regole della strada per riuscire ad avere risultati efficaci. Porre al centro dell’attenzione chi sulla strada è più vulnerabile, consentirebbe all’Italia non solo si salvare vite, ma di fare un salto di civiltà.
Pubblicato da Marta Abbà il 28 Marzo 2013