L’ agricoltura intensiva non è prettamente quel tipo di attività amica dell’ambiente, lo è molto di più quella estensiva. Pur trattandosi di agricoltura in entrambi i casi, non è detto che si tratti per forza di un qualcosa che fa bene al territorio e ne abbia rispetto. Come vedremo in questo articolo l’agricoltura intensiva è in contrapposizione con quella estensiva che è più rispettosa e sostenibile per l’ambiente. Nella intensiva di ha una eccessiva immissione di input e di energia che addirittura va a superare quelle che sono le capacità di assorbimento del terreno e dell’ambiente. Le conseguenze le possiamo bene immaginare. Il territorio viene sottoposto ad attività che lo rendono ogni giorno più inquinato, più sfruttato e non in modo virtuoso.
Una delle conseguenze più note della agricoltura intensiva è ad esempio l’inquinamento delle falde acquifere legato all’utilizzo eccessivo di fertilizzanti. Queste sostanze dannose si mescolano alle acque reflue e riescono a raggiungere i corsi d’acqua, fiumi o laghi, ma poi anche il mare. Si parla poi di eutrofizzazione, un fenomeno molto dannoso. L’agricoltura estensiva non è a impatto zero e non è certo poco impattante, anche in quel caso si utilizzano sostanze non sempre amiche dell’ambiente ma con modalità e quantitativi del tutto differenti e non paragonabili.
Agricoltura intensiva: significato
Per agricoltura intensiva si intende una agricoltura che viene praticata in modo intenso, dando molti input e stimoli al terreno e alla natura in generale, senza tener conto dei limiti. Inizialmente, secoli se non millenni fa, questa pratica era basata sulla fertilità di alcuni suoli situati anche in zone con un clima favorevole. In quel contesto la natura riusciva a stare al ritmo intenso che le veniva dettato dagli agricoltori. Oggi non è più così e non si deve esagerare, sprecando anche più acqua per l’irrigazione o più personale per la raccolta.
I primi esempi di coltura intensiva sono davvero antichi, risalgono all’epoca degli antichi Egizi che la praticavano nella valle del Nilo. La ritroviamo nell’Inghilterra del XVII secolo quando si assiste alla nascita delle prime aziende agrarie capitalistiche durante la Rivoluzione Agricola. Dall’isola inglese l’agricoltura intensiva si è diffusa rapidamente in tutta Europa e pochi si sono tirati indietro difronte alla possibilità di sfruttare maggiormente il suolo per produrre il massimo, senza tenere conto delle conseguenze relative all’inquinamento e alla rottura di equilibri ambientali delicati ed essenziali anche per l’uomo.
Con l’arrivo e l’introduzione di innovazioni tecnologiche, macchinari, sementi e processi di lavorazione post raccolta, tutto è andato accelerando e peggiorando e si è arrivati a dover dire stop a questa agricoltura troppo intensa. Tra le pratiche che hanno caratterizzato questo periodo ci sono il terrazzamento, per esempio, e l’azotofissazione.
Agricoltura intensiva ed estensiva
Dal punto di vista dell’innovazione tecnica, lo sviluppo agricolo di tipo intensivo è considerato più avanzato di quello estensivo, ma questo non ci deve trarre in inganno, stavolta le nuove tecnologie non ci hanno portato ad avere un maggior rispetto della natura. Ciò che nel mondo è accaduto è che l’agricoltura estensiva è rimasta tipica solo del latifondo e delle grandi estensioni di coltivazioni mentre le multinazionali hanno subito svoltato verso un concetto intensivo per aumentare il proprio profitto senza troppo stare a guardare alle conseguenze.
Oggi per agricoltura estensiva si intende l’insieme di tecniche agronomiche che tendono ad ottenere il massimo di produzione per unità di persona impiegata. Ecco perché il profitto è assicurato dalla vastità dei terreni messi a coltura e non sempre si può contare su questa “vastità” in un mondo densamente popolato come il nostro. E’ qui che l’agricoltura intensiva la vince sulla estensiva promettendo raccolti abbondanti anche con pochi ettari di terra.
Oggi troviamo praticata ancora l’agricoltura estensiva quando si tratta di produrre cereali, erba medica, foraggere. Più che in Europa, la troviamo praticata soprattutto nei paesi in via di sviluppo dell’area africana, asiatica, ed americana dove crea un paesaggio caratterizzato dalle classiche piantagioni sempre più rare da incontrare.
Cosa è l’agricoltura intensiva
Per definizione, l’agricoltura intensiva è un sistema di produzione agricola che mira a produrre grandi quantità in poco tempo e a costi minori, sfruttando al massimo il terreno. Va da sé che così ci si trova costretti a trattare la terra come una schiava coltivando grandi estensioni con piante tutte uguali nutrite con sostanze chimiche e trattate con pesticidi.
Agricoltura intensiva e smart agriculture
Una alternativa all’agricoltura intensiva ci arriva dalla smart agriculture, una nuova tendenza e un nuovo termine che sulla scia delle smart city vuole andare a definire una agricoltura ricca di innovazione e di tecnologia. Ne vediamo molti esempi raccontati in articoli di giornale che cercano di spiegare come le nuove trovare non siano sempre contro natura ma anche pro. L’uso di droni o di sensori avanzati, di telecamere e di altri dispositivi di nuova generazione può essere un modo per produrre sempre di più senza pesare sulla Terra e sulla natura.
Ci sono alcuni studi che promettono che la smart agriculture permetterà di ridurre anche dell’85% l’utilizzo di pesticidi, diminuire sprechi e consumo di risorse e aumentare drasticamente la qualità e la quantità di raccolto.
Agricoltura intensiva: danni
Se il futuro ci da speranza, coltiviamola perché finora possiamo fare il conto dei danni legati al regime intensivo che abbiamo seguito e che non ci ha portato molto, anzi, ci ha portato molti danni. A suolo e acque, aria anche, più inquinate e alla perdita di biodiversità, alla riduzione nella fertilità dei suoli che ci si ritorce anche contro perché chi pratica l’agricoltura intensiva è anche un po’ miope.
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