L’accordo UE per la riduzione delle emissioni entro il 2030 è arrivata come una bella notizia notturna, negli scorsi giorni. Non sempre ultimamente a seguito di nottate di politica riceviamo buone notizia ma stavolta sì. E’ stata presa una decisione importante, un’intesa frutto di faticosissime trattative ma che vede l’Unione fare un bel passo avanti passando da una riduzione del 40% ad una riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030.
Valore da calcolare rispetto a quelle del 1990. Andiamo a vedere come è nato questo accordo e quali sono le reali difficoltà che questo tipo di scelte comportano per essere maggiormente consapevoli del prezioso risultato.
Green Deal, il successo sulle emissioni
Solo al termine di una faticosa nottata di trattative, a Bruxelles, i leader politici di tutta Europa sono riusciti a trovare un accordo sul Green Deal e a seguito del quale possiamo gioire di un grande passo avanti per quanto concerne la neutralità climatica del nostro continente. E’ una strada difficile perché ci sono in gioco diversi interessi economici e non sempre sono gli stessi tra i diversi appartenenti all’Unione, ogni Paese ha le sue priorità e non tutti hanno a cuore il clima ma l’Italia è certamente tra coloro che oggi festeggia il risultato ottenuto malgrado sia consapevole che “a casa propria” ci sia ancora molto da fare. Per il momento godiamoci il raggiungimento di quella che può essere considerata una tappa fondamentale in vista dell’obiettivo finale, ovvero il taglio totale delle emissioni entro il 2050.
La prima volta che abbiamo fissato questo obiettivo sembrava un’utopia, oggi un’ardua impresa ma possibile, ci aspettano da fare altri passi avanti, sempre uniti e all’interno di un gioco delle parti in cui ogni Nazione ha un ruolo importante.
Questa volta a bloccare uno degli stati che opponeva più resistenza era la Polonia, con una economia molto legata al carbone e che ha tentato di legare gli obiettivi di riduzione delle emissioni al prodotto interno lordo in modo che, come Paesi meno ricco, avrebbe potuto tagliare di meno. L’accordo raggiunto sul 40% è quindi stato difficile perché si è trattato di far conciliare gli obiettivi dei Paesi nordici, sempre virtuosi e green, con le esigenze di quelli dell’est Europa che, come la Polonia, per la produzione di energia sono ancora molto legati alle fonti fossili.
La sfida attuale e che la maggior parte dei Paesi Europei, nordici in primis, sta portando avanti, è anche di tipo “culturale” e si tratta di riuscire a dimostrare che il Green Deal non solo è una necessità per salvare il pianeta, ma ha anche dei notevoli vantaggi a livello di crescita economica. Solo in questo modo sarà possibile per l’Unione Europea coinvolgere anche altri attori esterni essenziali per far migliorare la situazione globale come ad esempio gli USA e la Cina. Solo con la loro collaborazione possiamo fare una seria lotta al cambiamento climatico abbia successo dove potremmo giocare il ruolo di leadership.
Accordo UE, i commenti dei leader
Che l’Italia sia stata tra i sostenitori delle riduzioni al 40% lo dimostra il commento del premier Giuseppe Conte che ha parlato di “una nottata intensa di lavoro coronata dalla chiusura positiva. Neutralità climatica pensando alle nuove generazioni Nottata intensa di lavoro al Consiglio Europeo coronata dalla chiusura positiva su Green Deal. Neutralità climatica pensando alle nuove generazioni” con un tweet soddisfatto.
Con un altro tweet anche il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha espresso soddisfazione dando la notizia così: “L’Europa è la leader nella lotta contro i cambiamenti climatici. Abbiamo deciso di tagliare le emissioni di almeno il 55% entro il 2030″. Si è poi aggiunta Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, più concisa ma non meno contenta: “Ottimo modo per festeggiare il primo anniversario del nostro EUGreenDeal!”.
I retroscena politici dell’accordo
Per comprendere la complessità del lavoro svolto per arrivare a questo risultato è necessario allargare lo sguardo a quello che è stato il contesto politico in cui la decisione di ridurre le emissioni dal 40 al 55% è maturata. Era tra l’altro il maggiore ostacolo per chiudere con un successo i due giorni del vertice europeo, l’ultimo summit in cui la Germania lo presiedeva. Era quindi per Angela Merkel doppiamente importante portare a casa un risultato da questo punto di vista, anche perché, volente o nolente, si è trovata a gestire un semestre Ue pesantemente compromesso dall’emergenza climatica che ha fatto rivedere a tutti i programmi e gli obiettivi.
Ora può dirsi soddisfatta con i due dossier relativi rispettivamente a Recovery Fund e Green deal. Dossier strettamente collegati perché per dare l’okay alla riduzione delle emissioni la Polonia pretendeva garanzie finanziarie per la transizione verde della sua industria, garanzie che non sarebbero mai arrivate senza un accordo sul Next Generation Eu da 750 miliardi e sul Bilancio Ue 2021-2027 da quasi 1.100 miliardi.
Per fortuna nello stesso pomeriggio del grande giorno la Polonia e l’Ungheria hanno tolto il veto grazie ad un compromesso che è valsa la pena accettare. Il rinvio di almeno un anno e mezzo dell’introduzione delle regole che vincolano l’esborso dei fondi Ue al rispetto dello stato di diritto e danno varie garanzie sull’obiettività dell’applicazione delle norme. Se vi sembra ovvia, tale applicazione, sì, lo è per noi ma questa precisazione ha fatto in modo che i due Paesi oppositori fossero soddisfatti di poter tornare dai propri cittadini a raccontare di aver ottenuto qualcosa.
Tutto questo retroscena si è prolungato parecchio ma alla fine si è raggiunto un risultato storico che vede più fattibile l’azzeramento delle emissioni entro il 2050.