Accordo sul clima di Parigi: ecco cosa prevede
Accordo sul clima di Parigi, raggiunto! E quindi? Quindi questo è solo l’inizio, non il primo a cui assistiamo, ma ci sono elementi per ben sperare che sia più inizio degli altri inizi a cui abbiamo assistito col fiato sospeso che poi si è trasformato in un sospiro. Di delusione. Vediamo quali elementi dell’accordo sul clima di Parigi ci possono indurre ad un cauto ottimismo. E quali meno.
Raggiunto qualche minuto prima delle 19.30 del 12 dicembre, dopo 12 giornate di intenso lavoro e tanti lavorii precedenti, l’accordo sul clima di Parigi prevede innanzitutto che l’aumento della temperatura si trattenga entro i 2° e può vantare un consenso globale. Scontato?
Affatto, e proprio in questo globale, aggettivo che spesso “appiccichiamo” terrorizzati a “riscaldamento” stavolta ha un senso positivo. Finalmente, e contrariamente a quanto accaduto sei anni fa a Copenaghen, l’accordo sul clima di Parigi si può bellare di avere strappato l’okay di tutto il mondo, compresi i quattro più grandi inquinatori. La promessa di tagliare le emissioni, Parigi l’ha strappata anche a Cina, India e Stati Uniti oltre che all’Europa. Una grande conquista del 2015.
L’accordo sul clima di Parigi si basa sul principio che “il cambiamento climatico rappresenta una minaccia urgente e potenzialmente irreversibile per le società umane e per il pianeta” e proprio partendo da questa indiscutibile realtà dei fatti che dalla Conferenza terminata meno di un mese fa si richiede “la massima cooperazione di tutti i paesi” per “accelerare la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra”. E’ una urgenza globalmente riconosciuta.
Al tavolo parigino si sono sedute le delegazioni di 196 paesi e alla fine, incastrando e smussando le esigenze di ciascuno, si è arrivati all’accordo, annunciato da un commosso presidente della Conferenza – e ministro degli esteri francese – Laurent Fabius. “L’accordo sul clima di Parigi è stato adottato”, così ha detto.
Come abbiamo detto noi prima, inoltre, questo è l’inizio, perchè quanto deciso deve entrare in vigore nel 2020 e perché ciò possa essere realmente imposto a chi lo ha firmato, c’è bisogno dell’okay di almeno 55 paesi che rappresentano complessivamente il 55% delle emissioni di gas serra nel mondo.
Accordo sul clima di Parigi: i passi avanti
Nell’accordo sul clima di Parigi un passo avanti è il 2, il 2 dei gradi di aumento massimo della temperatura, e 2 è il limite da cui si vuole stare “ben al di sotto” puntando anzi ad un +1,5°. Perché ciò avvenga, le emissioni devono calare in modo importante dal 2020.
Un altro bel passo avanti già accennato, fatto a Parigi, è l’ottenimento del consenso globale che rende quanto deciso molto più prezioso perché condiviso. Condiviso non da qualche paese in più qualunque ma proprio da quelli che più pesano nell’equilibrio mondiale delle emissioni.
Ogni paese versa in situazioni diverse, sia per contributo in emissioni, sia per lo scotto pagato nel quadro di peggioramento del clima globale. Ci sono stati che sono più esposti, spesso sono anche quelli già più poveri per altre ragioni. Per loro l’accordo sul clima di Parigi ha previsto un meccanismo di rimborsi per compensare le perdite finanziarie causate dai cambiamenti climatici.
Parlando di fondi, ci saranno fondi anche per l’energia pulita e ad erogarli saranno quei paesi di vecchia industrializzazione. Nell’accordo sul clima di Parigi si parla di 100 miliardi all’anno. A che scopo? Far sì che le tecnologie verdi e la decarbonizzazione dell’economia possano essere pratiche diffuse in tutto il mondo. E’ a partire dal 2020 ma nel 2025 già deve essere fissato un nuovo obiettivo finanziario. In questo quadro di fondi per l’energia pulita, si possono inserire anche i privati.
Prima di questo 2025 di revisione, c’è un altro appuntamento per il 2018, relativo ai controlli. In base al testo dell’accordo sul clima di Parigi infatti i controlli sono obbligatori ogni 5 anni per rivedere gli obiettivi, con una sincope iniziale che porta il primo appuntamento nel 2018, quindi tra 3 anni. E da lì si procede regolarmente, quindi nel 2023 e così via. Ovviamente la revisione deve essere migliorativa, nessun passo indietro è permesso.
Accordo sul clima di Parigi: le critiche
Scienziati ed esperti, ambientalisti e manifestanti, non hanno risparmiato critiche ai risultati a cui si è approdati gli scorsi giorni con l’accordo sul clima di Parigi. A ragione o a torto, hanno comunque posto l’accento su aspetti che possono essere migliorati o comunque valutati in chiave costruttiva.
La sindrome di “procrastination” incombe anche su questo accordo: c’è chi sostiene che questo 2018 di partenza per la revisione degli obiettivi di ogni paese sia una data troppo vicina al 2020 e che se nel frattempo si continuasse come nulla fosse, i risultati del 2020 possano essere compromessi. L’urlo è: “non facciamo in tempo”, segno che l’urgenza è ben avvertita dalla comunità scientifica o almeno da una consistente parte di essa.
Manca inoltre una data per l’azzeramento delle emissioni, un po’ come un “fine pena mai”. E la pena è quella dell’uso di fonti energetiche fossili che sembrerebbero sopravvivere mentre gli ambientalisti desideravano ottenere un – 70% delle stesse entro il 2050 e uno zero emission, lato non green, nel periodo successivo. Nell’accordo sul clima di Parigi, non si parla chiaramente e con una data, di azzeramento. Per molti è una vittoria dei produttori di petrolio.
Se quella dei controlli è considerata una bella vittoria, a guastare la festa c’è il fatto che saranno autocertificati. Sono stati i paesi emergenti a insistere su questo tasto, mentre quelli più industrializzati puntavano a organismi internazionali che svolgessero un ruolo di garanzia sul fatto che ogni paese rispettasse le sue quote di emissioni.
La Cina è stata la capofila di questa battaglia, vinta. Una delle tante conseguenze di questa sorta di autonomia, è quanto avverrà dopo l’accordo sul clima di Parigi per aerei e navi. Nulla. Sì, perché nei voli ritenuti internazionali le emissioni di chi sono? Nessuno se le vuole conteggiare quindi si finisce con il fatto che i gas di scarico di aerei e navi no vengono controllati da nessuno.
Accordo sul clima di Copenaghen
Critiche e passi avanti, ma guardiamo un momento a ciò che l’accordo sul clima di Parigi è rispetto a quanto deciso alla conferenza di Copenaghen tenutasi nel 2009. L’ si erano riuniti circa 200 paesi dandosi come obiettivo una limitazione dell’aumento della temperatura globale rispetto ai valori dell’era preindustriale. Cosa c’è di diverso? Che mancava una cifra, non era una intenzione quantificata, e mettere numeri e limiti concreti è importante.
Tanto quanto è importante il consenso “globale” di Parigi che a Copenaghen era invece fallito. Sei anni fa, infatti, in Danimarca proprio su questo punto ci si era bloccati con grande amarezza. Parigi e l’accordo sul clima di Parigi vedono i paesi inquinatori più consapevoli e più partecipi e proattivi. E’ ancora tutto da vedere, tanto c’è da fare, ma almeno sulla carta la parola globale la possiamo scrivere. Con una certa soddisfazione speranzosa.
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Pubblicato da Marta Abbà il 26 Dicembre 2015